Nella clinica dei malati così impariamo ad abbandonarci al Suo abbraccio

Cristo è risuscitato, è vivo, presente e noi viviamo con Lui in ogni istante della giornata. Sperimentiamo la Sua vittoria non solo nella nostra persona ogni volta più immedesimata con la Sua, ma anche nei nostri fratelli colpiti da una malattia terminale o nei mendicanti che raccogliamo per strada, incapaci di alzarsi e camminare, che si trascinano per le vie. Il dolore e la morte sono sempre al nostro fianco, ma che commozione viviamo quando guardiamo Cristo Eucarestia esposto nella Clinica 24 ore su 24 e che tre volte al giorno percorre le stanze per incontrare ogni malato che soffre!

La Clinica è diventata un luogo privilegiato di missione, di evangelizzazione, perché molti dei nostri pazienti chiedono di tornare alla fede cattolica, morendo nell’abbraccio di Cristo vivo nei sacramenti. Possiamo dire che la Clinica stessa è un sacramento, perché l’evidenza di Cristo presente qui si percepisce perfino nell’aria che si respira. Tutte le mattine, le attività cominciano con mezz’ora di Adorazione eucaristica durante le quali proponiamo una meditazione che ci permette di crescere nella coscienza che siamo di Cristo e che tutti siamo chiamati a giocare la nostra libertà di fronte alla Sua Presenza. Inoltre, la celebrazione della Santa Messa in ogni stanza degli ammalati trasforma il clima doloroso in una festa. L’ambiente che respiriamo è quello di un monastero di clausura, tutto rimanda a Cristo, dalla discrezione nel parlare alla bellezza dei fiori con i quali sorella Sonia, l’angelo dei malati, adorna il Santissimo, gli angoli della Clinica e ogni comodino dei pazienti come gesto di adorazione.

La Clinica ha compiuto 8 anni il primo giorno di maggio. Durante questi anni abbiamo accolto e accompagnato a morire più di mille persone e nessuna di loro ha respinto la presenza di Cristo nei sacramenti. Questo lungo cammino educativo ha permesso lentamente che germogliasse e crescesse una posizione umana attenta a ogni dettaglio. I pazienti arrivano da tutti i paesi e vengono ricevuti da noi con la certezza che è Gesù stesso che arriva. Le loro condizioni fisiche sono indescrivibili, ma nonostante questo ognuno viene abbracciato così com’è, Gesù stesso. Le persone che si prendono cura di loro, come i medici, le infermiere, coloro che li lavano, che cucinano e tutti gli altri lavoratori, partecipano alla catechesi settimanale realizzata per gruppi e, grazie alla fedeltà a questa, capiscono ogni volta di più che siamo insieme per imparare cosa significhi dare la vita a Cristo.

Di seguito proponiamo due testimonianze che ci hanno provocato in questi giorni.

Sono una delle prime cuoche della Clinica. Ricordo che una signora della parrocchia San Rafael mi chiese se volevo venire a lavorare in una clinica che stavano per aprire per gente molto bisognosa. Subito rimasi affascinata, ero già molto attiva nella cappella del mio quartiere e avevo sempre desiderato lavorare in un luogo dove avrei potuto aiutare i più poveri. Mi sono fermata nella Clinica lo stesso pomeriggio in cui sono arrivata. Mi impressionava vedere tanta gente soffrire e morire e mi chiedevo il motivo. Mi dicevo: se avessi questa malattia io mi toglierei la vita. Non ero pronta per affrontare una realtà simile, mentre oggi ho la grazia di sapere cosa significhi il dolore, perché vedendo il volto sorridente dei malati quando muoiono capisco che è un momento di purificazione, che permette di arrivare più belli dal Signore.

All’inizio eravamo pochi lavoratori e facevamo di tutto, dalla cucina passavamo alla lavanderia, dalla lavanderia ai bagni… Finché sono arrivate sempre più persone nella Clinica. Oggi, alla mattina presto, prima di preparare la colazione per i pazienti, recito l’Angelus con loro, nelle stanze, per preparare i loro cuori alla comunione. Li accompagno anche nella catechesi e li preparo a ricevere i Sacramenti. Padre Aldo è diventato un “papà” per me. Un paziente una volta mi ha detto una cosa che non mi dimenticherò mai: il sacerdote è più che il presidente della Repubblica. Mi ha insegnato cosa significhi la presenza di un “Padre”, e mi chiede di pregare perché molti si rendano conto di questo. Un giorno in cui non avevamo né latte né yogurt, con alcune colleghe siamo andate a pregare davanti al Santissimo, e sono arrivati gli aiuti. Non è mai mancata la grazia di Dio per questi ammalati.

Qui sono felice, non sono mai stanca di servire il prossimo. Qui ho imparato l’importanza dei Sacramenti, che ti permettono di avere una morte santa e stare con il Signore. Sono i pazienti che mi incoraggiano e mi spronano a continuare ogni giorno. Vedendoli soffrire dolori immensi con tanta pazienza, i miei problemi si trasformano in niente paragonati con i loro. Da qualche mese ho portato a casa mia un bimbo molto ribelle della Casita de Belén. Un giorno lui mi ha chiesto se volevo portarlo con me durante i fine settimana e io risposi di sì. Si è sentito talmente a suo agio che è voluto rimanere per sempre. Nonostante tutti i pettegolezzi dei miei vicini, le incomprensioni con i miei figli, ho deciso di dare amore a questo bambino che non ha nessuno al mondo. A volte mi chiedo: cosa vale di più, un milione di dollari o vedere Gabriel passare dalla disperazione a una felicità che nessuno gli può togliere? Il Signore non mi farà mai mancare il necessario se confido nella Sua Misericordia.
Modesta

Sono arrivato nella Casa P. Giussani grazie ad alcune persone che si sono avvicinate, chiedendomi se desiderassi andare in una casa per anziani. Ho risposto sì e ho aspettato che venissero a prendermi, mi sentivo molto male per tutto quello che mi succedeva in strada. Sono venuti a prendermi con un furgoncino.

Sono stato sposato e ho due figli che vivono in Argentina. Ho cominciato a litigare con mia moglie e ci siamo separati. Quando mi dissero che mia mamma era molto malata, ho preparato la mia valigia e sono venuto definitivamente in Paraguay.

Ho cominciato a lavorare e aiutare i miei fratelli. Ero il veleno per tutti, perché mi comportavo male, bevevo molto; finché un giorno a un semaforo mi ha investito un’auto e mi hanno portato all’Ospedale nazionale. Sono stato ricoverato due mesi, poi mi hanno portato dai miei genitori. Sono rimasto con la gamba destra paralizzata e mi muovevo strisciando. In questo periodo chiedevo aiuto per salire sull’autobus e andavo al mercato Abasto a chiedere la carità e cercare da mangiare. Dopo poco tempo ho cominciato a vivere per strada. Ho vissuto nel mercato Abasto circa due anni, poi mi sono spostato al mercato Cuatro, poi nella gradinata e per ultimo a Sajonia , nella piazza Rodríguez de Francia. Così ho vissuto cinque anni. Di giorno mi trascinavo per strada, andavo casa per casa a chiedere aiuto. Alcuni mi cacciavano come un cane, altri mi aiutavano, di notte cercavo rifugio dal freddo o dalle bande criminali o dai drogati.

Bevevo molto alcol per anestetizzare il dolore fisico e morale, perché mi sentivo molto solo e abbandonato, ero molto sporco ed affamato. Ho vissuto molte umiliazioni, molte volte piangevo. Mi sentivo spazzatura, volevo suicidarmi.

Nella strada c’erano molti pericoli e si vivono sofferenze terribili. Quando pioveva mi coprivo con una borsa di caucciù per dormire, ma l’acqua entrava dal basso. Chiedevo sempre al Signore di poter trovare un luogo in cui vivere. Ricordo che durante un periodo ho vissuto in una piazza vicino al mercato Cuatro, con un gruppo di 21 persone; anche loro vivevano per strada. Di notte ci radunavamo e di giorno andavamo a due a due a chiedere la carità, cucinavamo per tutti, ma siccome ci ubriacavamo molti litigavano, si accoltellavano o molestavano le mogli o le creature altrui. Venivano portati in carcere dalla polizia, ma una volta liberi tornavano nella piazza. Ho deciso quindi di separarmi dal gruppo.

In strada incontravo anche persone buone, che mi davano da mangiare, vestiti e denaro, ma i vestiti mi si rompevano subito perché mi trascinavo e mi impigliavo. Mi sentivo morire, potevo solo bere acqua e bevande alcoliche, anche se mi portavano il cibo non potevo mangiare, vomitavo sangue.

Adesso è molto diverso vivere in una casa, ho da mangiare, mi puliscono tutti i giorni, ho le medicine e persone che mi accudiscono. Desidero vedere la mia famiglia, anche se non mi hanno mai aiutato e quando mi hanno visto bisognoso mi hanno lasciato da solo. Ora sto molto bene, vorrei che vedessero dove e come sto, non voglio chiedergli niente, solo vederli. In questo luogo per me c’era un abbraccio che mi stava aspettando: quando uno non si avvicina a Dio è Lui che viene a cercarti.

Il giorno in cui siete venuti a chiedermi se volevo venire nella Casa, sono stato molto felice. Vi ringrazio, tutti i giorni prego Dio per la vostra salute e per tante persone che sono ancora per strada e soffrono l’abbandono e la povertà, affinché possano incontrare persone che li aiutino a vivere come esseri umani.
Saturnino 

Padre Aldo – Tempi

Articolo tratto da www.tempi.it per gentile concessione della redazione (7-7-2023).

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