Nella clinica dove convivono gioia e dolore siamo grati di quello che c’è

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«Tutto il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita negli inferi/ non lascerai che il tuo fedele veda la fossa/ mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra». Con queste parole del Salmo 15, possiamo riassumere il miracolo del costante sorriso di Hipólito, morto nella Clinica da poco tempo.

Veronica, una delle volontarie, durante la veglia funebre di questo grande e semplice uomo cantava per l’amico appena scomparso e per i suoi familiari e ci chiedeva di osservare e soffermarci sul sorriso di Hipólito. Così facendo, chi fino a quel momento si era soffermato solamente al dolore per la perdita del compagno, è stato costretto a guardare un segno evidente, perenne, eterno con il quale Hipólito era morto: un sorriso.

Grato perfino nel dolore, diceva: «Sono pieno di dolori, ma oltre a questo che cosa ho? Assolutamente niente, sono felice, sono grato». Sorella Sonia alcuni giorni prima che morisse continuava a ripetergli: «Un uomo muore come ha vissuto». È stato immediato verificare come il sorriso pacifico e indolore di Hipólito, che sorella Sonia continuava a farmi notare, fosse una testimonianza efficace di quanto sia necessario donarsi in ogni istante, esattamente come il nostro amico ha fatto.

I suoi familiari ci hanno raccontato che Hipólito amava tutto quello che gli era intorno, perfino gli animali, accettava tutto nonostante il suo dolore: con amore, affetto, sorriso e grande spirito di accoglienza. L’ultima volta che l’ho visto, stavo passando per il corridoio della Clinica e lui mi ha chiamato chiedendomi dell’acqua. Mentre gliela servivo ci siamo salutati e mi ha chiesto se fosse possibile non ricevere più molte visite, a causa dei forti dolori che lo facevano soffrire. Me lo ha domandato con un grande gesto di pazienza e allo stesso tempo di gratitudine, scusandosi per non riuscire più a intrattenere e prendersi cura delle persone che volevano venire a trovarlo.

Veronica, la sera prima della sua morte, raccontava di come Hipólito condividesse il poco che possedeva con tutti gli altri, lo donava. Come quando regalava i biscotti a Norma, un’altra paziente della Clinica, anche lei sorridente e grata e molto ammirata da Hipólito.

Io, intanto, cosa potevo dire? Non potevo vedere Cristo risuscitato, ma il sorriso di questo amico rendeva evidente al mio cuore che tutta questa sofferenza e tutta questa gratitudine sarebbero incomprensibili se non provenissero da Cristo stesso. Nessuno nel suo dolore potrebbe, senza offrirlo come ha fatto Hipólito, consegnarsi durante l’ultimo respiro con un sorriso di pace, come se stesse dormendo, come se il suo corpo non avesse smesso di esistere! Quel sorriso è qualcosa dell’altro mondo in questo mondo!

Quando abbiamo ricevuto la notizia della morte di Hipólito avevamo appena celebrato due battesimi e un matrimonio nella cappella della nuova Clinica che tra poco verrà inaugurata: un luogo ricco di particolari identici a quelli delle chiese missionarie gesuite. Una cappella in cui la prima cosa che viene in mente è quella di inginocchiarsi davanti a rara bellezza, gloria celeste e terrena del passato gesuita evocato in questo luogo. Dopo aver celebrato le sacre funzioni siamo andati a festeggiare, sempre nella “multifunzionale” Clinica. Durante il momento del valzer, improvvisamente, Andrea, una grande amica che lavora qui, mi ha detto: «Hipólito è morto, vado a trovarlo». Colpito, mi sono fermato a pensare e le ho risposto che realmente in questo luogo dolore e gioia convivono. Tutto si coniuga in una sola cosa nella vita: una sola cosa, non una dualità.

Abbiamo ballato il valzer, abbiamo tagliato la torta, abbiamo cantato, gli sposi erano grati e poi è arrivata la notizia della morte di Hipólito. La sposa è una delle infermiere della Clinica e suo marito uno dei muratori che ci hanno aiutato a costruire il pavimento della cappella e varie parti della nuova Clinica. Vivevano con i loro figli e invece ora sono marito e moglie, sono un “di più”, uno spettacolo definito dal fatto che appartengono a un luogo in cui sono educati, in parole e opere, a vivere la vita, la fede.

Per questo hanno deciso di celebrare il sacramento del matrimonio, superando la paura che prima o poi la relazione sarebbe potuta finire. Una paura che era diventata obiezione allo sposarsi, un timore vinto quando è stato chiaro per loro che affidare a un Altro la propria relazione (vale per tutti i tipi di relazione) può far sì che lo stare insieme duri e sia per sempre! Dopo la festa abbiamo sistemato tutto e siamo saliti a salutare Hipólito all’obitorio. Uno potrebbe pensare alla sfortuna, alla disgrazia, a uno scherzo. Invece no, per noi è stato chiaro ed evidente di come Dio volesse indicare che la realtà è sua, è positiva ed eterna e che non dobbiamo censurare niente di quello che esiste. Dio ci vuole educare in tutto. Ha voluto ricordarci che è giusto festeggiare la vita ma anche festeggiare la morte perché essa non è altro che l’incontro definitivo con colui che ci ha pensati prima che fossimo concepiti nel ventre materno.

Davanti a questi fatti, resta solo la gratitudine e la domanda al Signore affinché aumenti la mia fede, perché possa morire felice, in pace, lasciando nel mio corpo senza vita il sorriso, come ricordo dei giorni terreni e nell’attesa della risurrezione, che siamo già educati ad attendere e guardare nei fatti quotidiani.

Aldo Trento – Tempi

Articolo tratto da www.tempi.it per gentile concessione della redazione (7-7-2023).

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