Lettera a Don Aldo Trento
Caro padre, sono una studentessa universitaria a Roma. Sto studiando per l’esame più impegnativo del mio corso di studi, che richiede un grande sforzo di memoria. Nel preparare altri esami in questi anni, la cosa più bella che ho sperimentato è la gioia di scoprire nuove realtà, di imparare e meravigliarmi allo stesso tempo. La fatica era accettata perché sostenuta da quello che lo studio mi faceva incontrare e la sera, andando a letto, ringraziavo proprio perché sentivo la stanchezza. Invece per questo esame, più mi sforzo di trovare del positivo, più non vedo niente e trascorro le giornate tra la rabbia verso me stessa per le cose che non riesco a memorizzare, quelle che capisco dopo ore e ore, e il perder tempo tanto che vado a letto senza provare stanchezza.
L’altro giorno ho letto quello che lei ha scritto nel capitolo “Cristo e il modo di lavorare” del libro Cristo e il lavandino, dove parla dell’uomo che, mosso dalla passione per il reale, fa in un’ora quello che un altro farebbe in un mese. Ho pensato: caspita, è proprio quello che desidero ora io per me! Ma come si fa, se questa passione non la sento e c’è spazio solo per la svogliatezza, il lamento e la rabbia verso me stessa?
Manuela
Cara Manuela, mi permetto di risponderti attraverso Tempi perché il problema non è solo tuo ma di molti, che mi scrivono del loro dramma tanto nel rapporto con lo studio quanto in quello con il lavoro. È importante intendere bene ciò che scrivevo allora in quel libro, per capire cosa è l’amore alla realtà che spesso cambia. Quando parlo della realtà, parlo della circostanza, della condizione che vivo in questo momento, che è totalmente differente rispetto ad alcuni anni fa, quando ho scritto il passaggio che ti ha colpito. Oggi sono fisicamente bloccato da una spondilite. Fatico a muovermi, ho dolori… A volte mi sento bloccato e vivo di pastiglie. Mi muovo in macchina e, quando il tempo è bello e secco, con la forza dell’Ideale riesco a fare il giro di questo piccolo villaggio della carità. L’unico orario è quello di non avere orario. Il medico mi ha prescritto di andare a letto alle 19, ma, visto che ci riesco, ci vado alle 23 e approfitto del tempo per leggere e scrivere. Alla mattina mi alzo quando mi sveglio, non pongo una regola.
In questa condizione, non solo fisica ma anche morale, cosa vuol dire che «uno, se mosso dalla passione per il reale, fa in un’ora quello che un altro farebbe in un mese»? Una cosa semplice, bella, anche se non mi toglie neanche un grammo dell’impotenza: vivo con gli occhi fissi a Gesù. Anche prima era così, anche quando fisicamente ero un trattore. Ora è cambiata la situazione e si è potenziata la mia relazione con Gesù. «Ex uno Verbo omnia et unum loquuntur omnia»: ecco, questa è la coscienza che sola muove la vita e permette di vivere intensamente la realtà in ogni istante del vivere quotidiano.
Ma questo non significa che in certi momenti io non passi situazioni simili a quelle che descrivi tu. “Homo sum”… ed è bello. Per esempio, c’è una cosa che mi dà tanto fastidio ed è la distrazione quando prego. Ce la metto tutta a concentrarmi, ma dopo pochi istanti ho già la testa atrove. Un tempo mi arrabbiavo con me stesso, adesso guardo la cosa con ironia e dico: «Gesú, io sono tuo, per cui anche le distrazioni sono tue». Non dobbiamo mai dimenticare che siamo Suoi e così scopriremo che a Gesù andiamo bene come siamo e non come noi e gli altri vorremmo che fossimo.
La risposta di José
Quanti complessi di inferiorità e quanta mancanza di autostima in meno saremmo obbligati a sopportare se ci guardassimo con gli occhi di Gesù che ci fissa con lo sguardo di chi ci vuole veramente bene. Cara Manuela, tu e i tuoi amici non abbiate paura degli alti e bassi, del tempo che vi sembra di perdere, del fatto che non siate sempre dei trattori e che passiate momenti di svogliatezza e disinteresse per le cose. Ma che bella è la nostra umanità, in certi momenti dinamica e forte e capace di grandi slanci, in altri così fragile da prendere paura e scoraggiarsi. In tutto questo c’è Gesù che ci guarda con tenerezza. Guardiamolo anche noi e così scopriremo cosa vuol dire fare in un’ora quello che un altro farebbe in un mese, anche nella impotenza più assoluta, come mi ricorda ogni giorno José, un ammalato di spondilite che da anni giace in un letto del nostro ospedale duro come un blocco di marmo, cieco, capace di muovere solo un braccio. Ogni volta che gli chiedono come sta, risponde: «Muy bien». Un miracolo del suo amore a Gesù.
Articolo tratto da www.tempi.it
per gentile concessione della redazione (7-7-2023).
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