
un altro toccante racconto dell’opera di Don Aldo Trento in Paraguay.
Storie che ci insegnano ad amare con fede e ad avere fede con amore.
Ti adoriamo o Cristo e Ti benediciamo perché con la Tua santa croce hai redento il mondo.
Entriamo nella stanza numero due. Due belle ragazze, con tumore cerebrale, si fanno compagnia. Miriam, mora e con un bel viso, ha 26 anni e due figli. Guillermina, 25 anni, di figli ne ha quattro. Stanno con noi da tempo ma nessuno viene a visitarle. Miriam, alla quale i medici hanno praticato una tracheotomia, è appena uscita dal coma. Ogni volta che la chiamo per nome, accarezzandole il viso, mi guarda con i suoi occhi neri che brillano, con un desiderio grande di parlarmi. Il suo corpo è storto e deformato, le mani rovesciate all’indietro e chiuse a pugno. Mi torna alla mente la figura di “Hermann lo storpio”, nella descrizione che ne fa Martindale nel suo libro Santi. Anche il corpo di Guillermina è deformato come quello di Miriam, ma all’inizio balbettava qualche parola. Ora invece non riesce più e la sua bocca è completamente aperta, come bloccata, senza alcuna possibilità di poterla chiudere, né di mangiare. Vive grazie a un respiratore, cibandosi attraverso un sondino. Continuo a parlarle, ma lei non apre neppure gli occhi. Guardandole tutte e due, commosso, il mio pensiero va a quanto afferma san Gregorio Nazianzeno: «Se non fossi tuo, Cristo mio, mi sentirei una creatura finita…». Ancora una volta, la gioia della fede ci permette di entrare nella profondità di questo mistero che è il dolore e in questo tipo di dolore. Se invece di vivere qui con noi fossero andate in altri ospedali, sarebbero state facilmente considerate un caso pietoso, da eutanasia. Senza l’incontro con Cristo, siamo sinceri, non verrebbe a galla la drammatica domanda: che senso ha la vita e in particolare la vita di Miriam e Guillermina? Tuttavia, noi che ci viviamo insieme, contempliamo nei loro visi il volto stesso di Gesù e nei loro corpi orribilmente deformati, il tempio dello Spirito Santo. Proprio per questo ringrazio le infermiere che si occupano di loro con un affetto commovente, tentando sempre di capire i tratti del loro malessere. Perché è davvero terribile, nel caso di Miriam, essere sveglia, avere un prurito e non poter chiedere aiuto. Sembra una banalità, ma cerchiamo di pensare a un “piccolo” dettaglio come questo quando a noi succede un fastidio simile. Inoltre ci sono le piaghe da decubito, contro le quali c’è una lotta quotidiana dovuta alla difficoltà di muoverle e di trovare le posizioni più adeguate per poter intervenire. In questa stanza il silenzio è pieno della Sua evidente presenza e tutto si trasforma in supplica.
Ti adoriamo o Cristo e Ti benediciamo perché con la Tua santa croce hai redento il mondo. Nella stanza numero tre ecco gli uomini: Saturnino, 54 anni e 15 figli, con insufficienza renale cronica; Carlos, 47 anni, una figlia, totalmente paralizzato; Esteban, 50 anni, con un cancro all’occhio destro. Il giorno che Esteban è arrivato in clinica, l’infermiera mi ha chiamato sconcertata perché non aveva mai visto la “brutalità” di un cancro come questo e, quel che è peggio, l’abbandono nel quale i medici dell’unico ospedale dei tumori del Paraguay lasciano chi è già classificato come incurabile e senza soldi. Dopo avergli tolto la benda che copriva quello che un tempo era l’occhio destro, è emerso un enorme buco pieno di carne marcia e con decine di vermi che uscivano da tutte le parti. Grazie a uno spray creato per queste piaghe, (che sono all’ordine del giorno in certi pazienti che arrivano alla clinica), Lilly, l’infermiera, con una serenità commovente, usando delle pinze sterilizzate, cominciò a togliere questi “esserini” immondi uno alla volta; per quelli che cadono sul pavimento si prende cura la signora delle pulizie. Dopo un’ora aveva riempito una boccetta di plastica con questi “animaletti”. Straordinaria la calma e la serenità dell’infermiera, frutto della fede. Carlos, invece, è da tempo completamente paralizzato e cieco. Eppure lui è la personificazione della positività. Ha sempre una parola di aiuto per tutti. Ricordo che un giorno non stava molto bene e il tempo era brutto. Quando sono arrivato nella sua stanza per dargli la comunione mi domandò: «Padre, come stai? La tua voce è differente dagli altri giorni». Io, in guaraní, gli ho risposto che avevo quella voce perché pioveva. E lui: «Padre, deve essere felice perché la pioggia è una grazia. Con la pioggia cresce l’erba, le vacche la mangiano e loro ci danno il latte di cui abbiamo tanto bisogno». Sono rimasto senza parole e pieno di gratitudine. Questa è la santità: un uomo completamente immobile, cieco e che vive grato e commosso perché tutto è bello e provvidenziale. A chi gli si avvicina per chiedergli come sta, lui risponde: «Vivo come un re, ho tutto. Ho da mangiare, mi vogliono bene e mi puliscono».

Articolo tratto da www.tempi.it
per gentile concessione della redazione (7-7-2023).
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