Mi avete chiesto di parlarvi della coniugalità. Lo si può fare da diversi punti di vista. Ho scelto di farlo dal punto di vista della fede considerando la coniugalità quale esiste fra due battezzati.
Non è questa una riflessione che sentite frequentemente, immersi come siamo in discorsi psicologici e\o sociologici. Il mio vuole essere uno schizzo di catechesi della coniugalità
Il grande testo “classico” sulla coniugalità è Ef 5, 22-32. Non è necessario fare un’analisi accurata del testo. Basta, al nostro scopo, cogliere l’idea di fondo. Che è questa: esiste una relazione fra il rapporto Cristo-Chiesa e il rapporto – la coniugalità appunto – fra lo sposo e la sposa.
Fate bene attenzione. L’autore sacro parla di una relazione fra due rapporti. Mi spiego con un esempio semplice. Se dico: 8:4=10:5, non voglio dire che 8=10 e 4=5. Istituisco una relazione [di uguaglianza] fra due rapporti.
Di che natura è la relazione che esiste fra il rapporto Cristo-Chiesa e sposo-sposa? E’ di natura “sacramentale” o, direbbero i Padri della Chiesa, “misterica”. Cerchiamo di comprendere bene questo punto essenziale della visione cristiana della coniugalità.
Dobbiamo partire da ciò che viene chiamata “economia dell’Incarnazione”. Con questa dizione si intende descrivere il comportamento di Dio nei nostri confronti, come si manifesta in modo supremo e definitivo in Gesù, il Verbo fattosi uomo.
In forza di questo evento – Dio assume la nostra natura e condizione umana – la divina Persona del Verbo rivela e realizza il disegno di salvezza a nostro favore, umanamente. Egli dice la parola di Dio mediante parole umane; Egli ci salva mediante un atto umano di libertà. La parola umana detta da Gesù è un grande “mistero”, perché è il veicolo della parola stessa del Padre, e quindi del pensiero, del progetto del Padre riguardante l’uomo. L’atto con cui Gesù dona se stesso sulla Croce è un grande “mistero”, perché esso dice umanamente l’amore divino verso l’uomo. Possiamo dire, brevemente: l’economia dell’Incarnazione consiste nella Presenza operante del Verbo dentro ad un’umanità. Ad un corpo e ad uno spirito umani; ad una vita umana.
Questo modo di comportarsi da parte del Verbo incarnato continua anche oggi. Egli rivela e realizza la redenzione dell’uomo servendosi di realtà umane. Lo vediamo colla massima chiarezza nei setti segni sacri o sacramenti. Nell’atto di lavare il corpo, come accade nel battesimo, il Redentore compie la rigenerazione soprannaturale della persona. Fate bene attenzione. Non è che Cristo compia la nostra giustificazione “in occasione” dall’effusione dell’acqua e come “a fianco” di essa. E’ mediante e, per così dire, dentro a quel gesto, che Egli opera la nostra redenzione. Ciò che vi sto dicendo, non va neppure inteso come se l’effusione dell’acqua fosse un aiuto perché noi crediamo che il Redentore ci redime. Il Concilio di Trento insegna che i Sacramenti non sono stati istituiti solamente per nutrire la nostra fede [DH 1605]. E questo insegnamento è stato ripreso dal CChC [1155].
La forza redentiva di Cristo è presente nell’effusione dell’acqua, ed operante mediante essa. Mi sono servito del battesimo, ma potevo farlo con ogni sacramento. Parliamo di “economia della nostra salvezza” come “economia sacramentale”.
Ed ora ritorniamo alla nostra riflessione sulla coniugalità. Ho detto: fra il rapporto Cristo-Chiesa ed il rapporto sposo-sposa esiste una relazione sacramentale. Ora possiamo spiegarci meglio.
Nel rapporto coniugale è presente il Mistero dell’unità di Cristo colla Chiesa. Quello è il segno reale di questo. Reale significa che non rappresenta il Mistero, restando al di fuori di Esso, esterno ad Esso. Ma significa che il matrimonio sta in relazione intrinseca col Mistero dell’unione di Cristo colla Chiesa, e quindi partecipa della sua natura, e ne è come impregnato.
Ma che cosa precisamente intendo quando parlo di matrimonio? In ogni sacramento possiamo distinguere come tre strati. Prendiamo ad esempio l’Eucarestia.
Esiste un primo strato, quello più semplice, visibile, constatabile: sono le speci eucaristiche, il pane ed il vino consacrati. Ma esse significano realmente il Corpo ed il sangue di Cristo. Sono solo apparentemente pane e vino, in realtà sono il Corpo e il Sangue di Cristo [secondo strato].
Ma il Corpo e il Sangue di Cristo è significato dal pane e dal vino, cioè dal cibo, in quanto Cristo vuole unirsi a noi, nel modo più profondo: formare, Lui e noi, un solo corpo [terzo strato].
Analogamente nel matrimonio. Esiste un primo dato, ben constatabile: quell’uomo e quella donna si scambiano il consenso ad essere e vivere come marito e moglie [primo strato]. Mediante la loro vita significano una realtà che come tale non è visibile: la reciproca, definitiva, appartenenza. Viene chiamato il vincolo coniugale [secondo strato].
Fate bene attenzione. Il vincolo che stringe l’uno all’altro gli sposi, non è principalmente un vincolo morale e legale in base al principio “i patti, i contratti si rispettano”. Esso è una relazione che dà una nuova configurazione alla persona dei due coniugi [secondo strato].
Ma il vincolo coniugale per la sua stessa natura sacramentale chiede, esige di realizzarsi nella carità coniugale, che dà la perfetta realizzazione all’essere marito e moglie [terzo strato].
La sacramentalità del matrimonio consiste, risiede propriamente nel vincolo coniugale. Cioè: l’unione di Cristo e della Chiesa è significata realmente dal vincolo coniugale. Il Mistero di Cristo e della Chiesa è presente nel vincolo coniugale. Gli sposi sono congiunti l’uno all’altro con un legame in cui dimora il legame di Cristo colla Chiesa. S. Agostino chiamava il vincolo coniugale il “bene del sacramento“.
Per capire meglio, possiamo pensare al battesimo. Nel battesimo si ha un gesto che dura un istante: viene versata acqua sul capo. Ma si ha, come effetto, una realtà permanente, che configura per sempre la persona a Cristo: il “carattere” battesimale.
Nel matrimonio si ha un atto di breve durata: lo scambio del consenso matrimoniale. Ma, come effetto, si ha una realtà permanente che trasforma la persona stessa dei due sposi nella loro relazione, perché li rende segno reale dell’unione di Cristo colla Chiesa.
Tuttavia – e la cosa è di somma importanza – i due sposi sono solo “ministri del sacramento”. Che cosa significa? Che il vincolo coniugale è “prodotto” da Cristo stesso; i due sposi consentono che Cristo li vincoli nella modalità sacramentale. Parlando del battesimo, S. Agostino dice: non è Pietro, Paolo, Giovanni che battezza, ma Cristo battezza mediante Pietro… Ciò vale anche del matrimonio. E’ Cristo che vi ha sposati, che vi ha “vincolati” l’uno all’altro [“ciò che Dio ha congiunto…”]. Ecco perché nessuna autorità, compresa quella del Papa, può rompere un vincolo coniugale quando ha raggiunto la sua perfezione sacramentale.
E’ questa la coniugalità. “Un grande mistero”, dice S. Paolo. E’ un dono: il dono di Cristo. E’ un sacramento: ha in sé la presenza dell’unione di Cristo colla Chiesa.
Il vincolo coniugale per sua stessa natura chiede di penetrare profondamente nella mente, nel cuore, nella libertà, nella psiche degli sposi: in tutta la loro persona. A questo scopo Cristo dona agli sposi la carità coniugale.
Se voi prendete un cristallo e lo ponete davanti ad una sorgente luminosa, esso rinfrange i colori dell’iride presenti, anche se non rifratti, nella “luce bianca”. Un fenomeno analogo avviene nella vita della Chiesa. La sorgente luminosa della Carità, anzi che è Carità, partecipata assume colorazioni diverse. Esiste la carità pastorale, propria dei pastori della Chiesa; la carità verginale, propria delle vergini consacrate; esiste la carità coniugale, propria degli sposi.
La carità coniugale si radica nella naturale attrazione reciproca degli cui Cristo ama la Chiesa e la Chiesa Cristo.
La carità coniugale si esprime anche nel linguaggio del corpo: i due diventano una sola carne.
Dobbiamo concludere, senza approfondire questo grande tema della carità coniugale come meriterebbe. Ma voi, colla vostra testimonianza esprimete come la carità coniugale sia capace di un’accoglienza e di una gratuità splendida.
Carlo Caffarra alle “Famiglie per l’Accoglienza”