Le famiglie delle persone senza dimora giovani

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Foto di Gerd Altmann da Pixabay

La realta’ giovanile legata alla grave marginalita’ e’ diventata in questi ultimi anni un fenomeno degno di nota nelle città metropolitane e nei grossi centri urbani, fatto che comporta una riflessione seria e approfondita da parte degli operatori sociali.
L’esperienza ci dice che un numero sempre maggiore di giovani in eta’ compresa fra i 18 ed i 25 anni si trova privo di un sostegno familiare e di una rete sociale solida, privo di mezzi di sostentamento (per la difficoltà a reperire un impiego dovuta alla congiuntura economica attuale ed anche ad un livello di istruzione mediamente basso), in un isolamento che lo conduce a vivere l’esperienza della strada.

La classificazione ETHOS prevede alcune specifiche, soprattutto nella categoria dei “senza casa” individuando in particolare i giovani che, al compimento del 18° anno, non hanno una soluzione abitativa.
Si tratta principalmente di:

– giovani provenienti da famiglie in difficoltà che non costituiscono, spesso già da anni, un valido punto di riferimento relazionale e sociale; di frequente, anzi, sono la causa prima delle problematiche che li hanno portati in strada.

– giovani già conosciuti dai servizi perché provenienti da comunità per minori e appartamenti per giovani appena maggiorenni, per i quali è terminato il periodo di accoglienza o che hanno deciso di lasciare la struttura ospitante. Da rilevare il numero crescente di giovani presenti nelle strutture di accoglienza notturna con esperienza di adozione fallita o interrotta in età adolescenziale.

– molti giovani provenienti da situazioni di disagio sociale e non, che hanno intrapreso percorsi di devianza e dipendenza da sostanze (alcool, stupefacenti, etc.) e presentano un livello medio di istruzione piuttosto basso, con difficoltà a reperire un impiego utile alla propria indipendenza.

La condizione di senza dimora può portare ad un allontanamento forzato o volontario dai caregivers (ovvero da chi potrebbe aiutarlo). I caregivers sono fondamentali per quanto concerne la risposta ai bisogni primari ma, soprattutto, per la stabilità relazionale ed emotiva: la vita senza dimora determina spesso la rottura delle relazioni sociali significative sia per quanto concerne la rete primaria (familiare-amicale) che quella secondaria (istituzioni-servizi). Tali “rotture” necessitano di particolare attenzione nell’intervento sociale, che dovrebbe focalizzarsi sulla riattivazione-ricostruzione di un sistema di supporto che vada oltre la mera risposta al bisogno primario, introducendo opportunità di socializzazione, anche attraverso percorsi formativi e/o lavorativi.

Quale che sia la motivazione che li ha portati alla vita in strada, non è pensabile inserire ragazzi, che pur si trovano in una situazione di grave marginalità, in circuiti legati all’homelessness, e nel momento in cui vi si trovano loro malgrado inseriti, diventa importante farli uscire quanto prima. Sempre l’esperienza ci insegna che, con la permanenza in strutture dedicate alle persone senza dimora e il contatto stretto e quotidiano con chi ne usufruisce, i ragazzi tendono ad attivare meccanismi adattivi che portano ad assumere comportamenti tipici dell’esclusione sociale, inclusi sistemi di sopravvivenza che allontanano anche nella percezione del soggetto stesso, l’orizzonte dell’autonomia e della possibilità di raggiungerla.

Si nota insomma che l’ambiente dedicato alla grave marginalità può disincentivare l’attivazione delle proprie risorse, che, per la giovane età e per quanto compromesse, sono comunque vitali e riattivabili più facilmente che in soggetti in cui il periodo prolungato di vita sulla strada ha stratificato abitudini e schemi mentali tipici della stessa. Quando poi i giovani senza dimora sono immigrati la condizione di isolamento, solitudine, mancanza di possibilità di re-inserimento in una situazione famigliare o amicale positiva assume particolare rilevanza.

È quindi indispensabile pensare e creare spazi e percorsi dedicati, tenendo conto dell’età e dell’esperienza di vita ancora flessibile e meno compromessa dall’esperienza di grave marginalità. Questo richiede un notevole investimento di risorse umane, nonché un collegamento con i servizi specialistici e la rete del volontariato e del privato sociale che possa creare il clima di accoglienza che sempre l’esperienza ci dimostra determinante nei percorsi di reinserimento sociale.


Come Associazione Amici di Lazzaro crediamo che come prevenzione sia essenziale fornire ai giovani e alle loro famiglie strumenti per rafforzare valori e carattere per diventare piu’ forti di fronte alle sfide della vita.
Certamente anche l’aspetto spirituale incide e può fornire motivazioni e stimoli per superare conflitti famigliari e sconfitte della quotidianita’ .
E’ essenziale aiutare le famiglie a riprendere in mano le relazioni con i loro figli perché esse sono il vero welfare non statalista.
Inoltre e’ da ricordare che le famiglie dei senza dimora non vengono mai coinvolte nei processi di reinserimento, eppure spesso alla base di gran parte dei problemi di chi non ha casa c’è una difficolta’ famigliare.
Anche l’aspetto educativo nel mondo della marginalita’ non può essere usurpatore della centralita’ della famiglia, ovvero non ci si può sostituire alla famiglia nel mondo della scuola o della strada dimenticando che lo stato, le associazioni, la Chiesa devono solo dare gli strumenti alla famiglia e alle persone per risollevarsi e risolvere i propri problemi.

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