Ti sei innamorata di un uomo vecchio e malato? Meglio “sbagliarsi” o essere “etici” come le pietre?

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Caro padre Aldo, tempo fa ti scrissi una lettera per un senso di angoscia che mi portavo dentro da tempo e la tua esortazione a pregare la Madonna mi ha aiutato tanto. Questa volta ti scrivo, perché mi è accaduto un fatto di cui non riesco ancora a capire il senso. Lavoro da 15 anni in una casa di riposo per anziani, e sono quotidianamente vicino a gente che soffre e che invoca costantemente la morte. Circa tre anni fa, venne da noi un uomo di 73 anni malato di Parkinson, in una forma molto grave; infatti era già in carrozzina e riusciva a parlare quel poco che basta per farsi capire.

Da subito i suoi occhi azzurro intenso catturarono il mio cuore! Lui era un noto medico della mia città. Non ho mai conosciuto il suo passato, ma dalle voci sul suo conto si intuiva che c’era qualcosa di doloroso nelle sue vicende personali. Ho saputo che non viveva più con sua moglie da tempo, perciò era stato costretto a subire il dolore della sua malattia lontano dagli affetti famigliari fino al ricovero nella nostra casa di riposo.

Caro padre Aldo, l’ho amato tanto… è accaduto subito, in fretta; all’inizio ero spaventata da questa cosa. Lui più grande di me di trent’anni, con una malattia pesante, senza alcun affetto, e con una gran voglia di morire per non soffrire più… Era bellissimo, dalle foto della sua stanza si capiva che da giovane era ancor più bello. Il suo fascino attraeva qualunque donna! Gli ho subito dichiarato il mio innamoramento ma lui non mi credeva. Diceva che la mia era solo “compassione” per un uomo solo e malato, ma credimi, mi batteva sempre il cuore quando ero in sua compagnia.

Non avevo mai vissuto una esperienza così bella, ero felice, con lui tutto diventava più bello! Questo nostro rapporto è durato tre anni, ci vedevamo sempre lontano da occhi indiscreti e maliziosi e ti assicuro che non abbiamo mai fatto nulla di osceno. Solo nell’ultimo mese, ci siamo scambiati baci appassionati e abbracci teneri ed intensi. Eravamo davvero felici insieme…

Lui aveva finalmente incontrato l’amore vero e la sua sofferenza diventava più sopportabile. Spesso parlavo con lui della felicità, dei desideri del cuore; gli parlavo di don Giussani, degli incontri che facevo nella comunità, del coro di cui faccio parte, dell’esperienza che facevo al carcere come volontaria nell’ascolto dei detenuti e lui voleva conoscere sempre di più la nostra esperienza. Intanto soffriva per i suoi figli ormai grandi e ben sistemati da un punto di vista professionale, ma che non erano quasi mai presenti, anzi lui si sentiva un peso per la loro vita.

Caro padre Aldo, ero felice, perché finalmente avevo una compagnia nella vita, con lui mi sentivo forte, una donna innamorata e amata. Ma circa tre settimane fa, tutto è finito, lui, il mio Beppe, se n’è andato, dopo un violentissimo ictus. Mi manca da morire, mi mancano i suoi baci, i suoi occhi, mi manca, mi manca!!! Questo fatto mi ha sconvolto la vita ma non ho potuto parlarne con nessuno perché non è normale innamorarsi di un uomo che ha trent’anni più di te, malato e prossimo alla morte.

Nei miei 45 anni di vita, non ho mai avuto una carezza, un abbraccio così tenero e appassionato da un uomo. Perché il Signore mi ha dato tutto questo per poi togliermelo in così pochi istanti? Perché? Ti prego rispondimi, perché ora senza di lui nulla è come prima; prego tanto, mi butto nella realtà, accolgo tutto, ma non sono più felice, sono sempre triste! Ti abbraccio grande amico e prego per la tua opera grande nel mondo.

Lettera firmata

Cara amica, grazie per la tua lettera nella quale la tua umanità, la tua femminilità, la tua passione per un uomo malato e solo, mi commuovono profondamente. È bellissima la descrizione che fai del tuo cammino affettivo con quest’uomo, perché innamorarsi a 45 anni di un uomo che ne ha 30 più di te e per di più in quelle condizioni… dove sta scritto che si tratti di qualcosa di anormale?

Personalmente credo che per voi due sia stata una grazia. Una grazia che a te ha permesso di assaporare il gusto della vita e per lui è stato trovare un significato per il quale vale la pena, persino nelle peggiori condizioni di salute, continuare a lottare, continuare a vivere. La vostra esperienza è stata un’evidenza del fatto che l’essenza della vita è amare e sentirsi amato. San Tommaso d’Aquino ci ricorda che «la vita dell’uomo coincide con l’affezione che più lo sostiene e nella quale trova la sua maggior soddisfazione».

Condivido con te la bellezza di quel cammino perché è la stessa esperienza che vivo con i miei pazienti che si aggrappano a me. Desiderano sentirsi abbracciati, accarezzati. Abbandonati da tutti, malati di Aids o di cancro, ridotti molte volte a pelle e ossa, come ci si potrebbe “innamorare” di loro dandogli tutto l’affetto che li aiuta ad assaporare la bellezza delle carezze, della tenerezza di Cristo? Soltanto un cuore di pietra potrebbe non sentire questa potente attrazione verso queste persone, nelle quali è ancora visibile la bellezza che il dolore sta lentamente consumando. Ed inoltre, che senso avrebbe questo hospice, dove una persona viene per morire se non trovasse qualcuno che diventa pazzo di amore per lui o per lei? La prima esigenza di un uomo, e ancor di più di un paziente, è quella di sentirsi abbracciato, sentirsi accarezzato, baciato. Tutti i giorni questi gesti fanno parte del mio rapporto con loro.

Amici, non possiamo aver paura dei fratelli, nemmeno quando un’attrazione possa scatenare una passione, un modo di esprimersi che apparentemente sembra immorale. Immorale, nella mia esperienza con i pazienti, è la distrazione con cui tutti noi viviamo, la paura di toccare, baciare un malato di Aids o una persona distrutta dal cancro e piena di vermi che escono dalle ferite della sua carne putrefatta. Quei baci appassionati, quegli abbracci teneri ed intensi che hanno permesso a quella persona di provare un sollievo al suo dolore, è il cammino più bello per prepararsi a morire.

Domanda: cosa avrebbe fatto Gesù? Con quanta tenerezza avrebbe abbracciato, accarezzato il volto della vedova di Naim, che singhiozzava mentre portavano al cimitero il suo unico figlio?

E quando ha avuto a che fare con la morte di Lazzaro, è andato in fretta a casa di Marta e Maria. Chissà con quanta passione avrà abbracciato Maria e Marta! Immaginatevi le due sorelle con le loro teste tra le braccia di Gesù! E Lui che accarezzava le lunghe e bellissime chiome.

Ma anche Gesù stesso, a casa di Simone il fariseo, è stato felice di compiacersi della posizione di Maria Maddalena, che gli baciava e accarezzava i piedi. Lavandoli e asciugandoli con i suoi capelli. Che intimità, che affetto, un affetto che soltanto una donna innamorata sa esprimere.

Purtroppo per noi, il nostro moralismo ci impedisce di essere autenticamente noi stessi. Non solo, ma si arriva a confondere i sentimenti più belli con la morbosità o il possesso, che è tutt’altra cosa. Una domanda: in una situazione come la tua, è meglio “sbagliarsi” perché si ama qualcuno che sta camminando verso la morte o essere “etici” come le pietre?

Beppe se ne è andato e in te è rimasto un grande vuoto. Un vuoto per il quale tu affermi: «Mi manca da morire. Perché il Signore mi ha dato tutto questo per poi togliermelo in così pochi istanti?». Questo è il vero dramma della vita, dramma che nella pazienza del tempo, gridando, chiedendo, mendicando, dentro una compagnia che ci guarda come Gesù guardava Zaccheo o la Maddalena, ti permetterà di vivere l’esperienza più bella e più grande della vita: l’esperienza della libertà.

Nella mia vita mi è successa la stessa cosa. Quando Giussani mi spiegava che il cammino per imparare ad amare è quello di passare dal possesso alla libertà, non capivo niente. Perché mi sembrava che la libertà in un rapporto affettivo dovesse essere, almeno un po’, caratterizzata dall’istinto del possesso con tutto quello che questa posizione comporta, compresi i gesti. Mentre la libertà di cui mi parlava Giussani mi faceva tremare perché la percepivo come un distacco disumano nel quale l’indifferenza sarebbe stata la sua caratteristica principale.

I miei anni di dramma
Sono vissuto per anni con questo dramma, anche se nei momenti più disperati avrei desiderato questa totale indifferenza che però non arrivava mai. Grande è stata la mia sorpresa quando, un giorno, per pura grazia, è accaduto questo miracolo di sperimentare cosa significa la libertà in un rapporto che qualcuno avrebbe potuto definire “pazzo”. Non solo non è coinciso con l’indifferenza o il disinteresse ma anzi, la mia passione e il mio amore per lei diventavano di una intensità sconosciuta fino ad allora nella mia vita. Era ed è amarla esclusivamente per il suo destino, per quello che la rende felice, è l’esperienza di un autentico possesso che finalmente mi permette di affermare, come Romeo e Giulietta: “Io sono tu”.

Il cammino è stato lunghissimo, doloroso. Era come vivere dentro ogni istante uno strappo terribile, che mi lasciava nel vuoto ma sostenuto da un volto amico. Gridando e supplicando il Signore in ogni momento, ho avuto la grazia di entrare sempre di più nell’esperienza definita dal fatto che soltanto Dio, il Mistero, basta. Tutto è segno che riconduce ad Altro, quell’Altro nelle cui braccia è ora quell’uomo mediante il quale il Mistero ti ha aperto al gusto e alla bellezza della vita.

Amica, arriva sempre per tutti il momento in cui Dio ci chiede tutto, perché il nostro Dio è un Dio geloso. Egli ci ha fatti esclusivamente per Lui e vivendo solo per Lui abbiamo il gusto di possedere tutto quello che troviamo. San Paolo afferma “tutto è vostro” perché voi siete di Cristo e Cristo è di Dio. Amica, dimmi per favore, cosa c’è di più bello, di più caro, che risponda ai tuoi drammatici perché?
Il dramma rimane, e deve rimanere, se siamo seri con la nostra umanità. Ma questa certezza crea in noi un respiro infinito di pace.

Articolo tratto da www.tempi.it per gentile concessione della redazione (7-7-2023).

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