La forza e perseveranza dei martiri cristiani in terra musulmana

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

«Certamente non è bene che si eserciti una pressione in materia di religione, ma bisogna riconoscere che la spada o la frusta sono talvolta più utili della filosofia o della convinzione. E, se la prima generazione non aderisce all’islam che con la lingua, la seconda aderirà anche con il cuore e la terza si considererà come musulmana da sempre» (al-Ghazali, intellettuale musulmano del XII secolo sulle conversioni in Maghreb).


Nel Maghreb, all’inizio della conquista islamica nel 650, la popolazione cristiana ammontava a circa un milione e mezzo su due milioni di abitanti, con la presenza di 470 vescovi. Seicento anni dopo, questa comunità cristiana scomparve completamente, a causa delle conversioni di massa indotte dal processo di islamizzazione, della fuga di numerosi cristiani e dell’eliminazione fisica di altri.

La presenza cristiana preesistente beneficiava del regime di protezione dei “dhimmi”, il quale, tuttavia, sanciva di fatto la subordinazione. Questo regime consentiva ai cristiani, inizialmente maggioranza su un territorio ormai conquistato, di esercitare alcuni diritti religiosi in cambio della sottomissione al potere islamico e del pagamento di una tassa.
Non è una condizione così diversa da quella attuale dei cristiani in terre musulmane.

La sottomissione pero’ spesso divenne violenza esplicita a chi non si sottometteva.
La storia è piena di casi gravissimi, come il genocidio armeno, il martirio dei monaci d’Algeria, la persecuzione dei cristiani in Sudan o in Pakistan o quelli uccisi nelle Molucche, in Nigeria, in Kenia, in Iraq o a Timor Est, per citare alcuni casi recenti.

Già nei primi anni della storia dell’islam ricordiamo alcuni casi eclatanti: già nel 641 a meno di 10 anni dalla morte di Maometto, durante la conquista dell’Egitto, il monaco copto Mena viene brutalmente ucciso e il suo corpo fatto a pezzi a seguito di una disputa dottrinale sulla natura di Cristo con il comandante arabo della provincia di al-Minya.

O pensiamo al monaco siriano Romano, che nel 780 venne catturato in un’incursione in territorio bizantino e trasferito a Baghdad, assolto dall’accusa di spionaggio ma condannato a morte per aver ricondotto al cristianesimo alcuni prigionieri bizantini convertiti all’islam.

Nel 1229 abbiamo la storia coraggiosa di Ibrahim (Abramo) il Bulgaro, mercante musulmano convertitosi al cristianesimo e attivo nella diffusione della fede durante i suoi viaggi di lavoro.
I suoi corregionali tentarono di riportarlo al’islam ma resistette e fu così impiccato per i piedi e decapitato il 1° aprile 1229.
In seguito, dei mercanti russi ne recuperarono le reliquie, portandole nella citta di Vladimir, dove vennero sistemate nella cattedrale dell’Assunzione. La commemorazione dei santo ricorre il 1° aprile
È proclamato patrono della città di Kazan (allora era in un area chiamata Bulgaria Nera, ora Russia) e protettore di tutti i convertiti dall’islam.

Dopo aver incontrato il Sultano, San Francesco invia cinque francescani Berardo da Calvi, Accursio e Adiuto da Narni, Ottone da Stroncone e Pietro da San Gemini ad annunciare il Vangelo in Marocco. Nonostante i consigli alla prudenza dati da Don Pedro, fratello del re portoghese Alfonso II, vengono decapitati il 16 gennaio del 1220 a Marrakesh per ordine del sultano.
Appresa la notizia del martirio dei cinque suoi figli, San Francesco esclamò: “Ora posso dire che ho veramente cinque Frati Minori” (memoria 16 gennaio)

Dopo pochi anni, nel 1227, altri sette Frati Minori, Daniele, Angeloda Castrovillari, Samueleda Castrovillari, Domno di Montalcino, Leoneda Corigliano, Nicola di Sassoferrato e Ugolinoda Cerisano, tutti calabresi di nascita, partirono come missionari del Vangelo tra i mussulmani. Giunti in Marocco, iniziarono subito ad annunciare il nome di Cristo. Incarcerati e pressati con promesse e minacce, ad abbandonare la fede cristiana e ad abbracciare l’Islam, resistettero fino ad essere condannati alla decapitazione (memoria 10 ottobre)

Un altro martire venerato dai cristiani ortodossi è il monaco Saba. Fu arrestato dal governatore dell’Alto Egitto e rinchiuso in prigione. Più tardi fu inviato nella capitale per presentarsi davanti al sultano Qansurah al-Guri (1500-1516), che gli propose di abbracciare l’Islam per riavere la libertà. Saba rifiutò decisamente. I capi religiosi lo giudicarono pertanto reo di morte. Fu legato a una croce e poi trasportato per le vie del Cairo a dorso di cammello. Infine, il 3 kiyahk 1229 M (29 nov. 1512), gli fu tagliata la testa e fu gettato nel fuoco, ma le fiamme non lo avvolsero se non dopo tre giorni. I cristiani ne portarono la salma al patriarca Giovanni XIII (1484-1524), che ordinò di recarsi in processione con le spoglie. Saba fu seppellito come martire nella chiesa di Harit Zuwaylah, dove egli stesso risiedeva.

Di esempi così ce ne sono decine di migliaia, le principali accuse che nel corso dei secoli hanno “giustificato” il martirio dei cristiani nell’ambito islamico sono l’offesa alla religione e l’apostasia. L’offesa alla religione, ad esempio, può derivare dalla confutazione di un precetto musulmano in un dibattito o dalla disapprovazione di pratiche come la poligamia, ma anche il solo possesso o diffusione di un testo cristiano in lingua araba o urdu o locale mette a rischio di denunce e violenze. Queste questioni rimangono irrisolte, come nel caso del Pakistan, dove la legge sulla blasfemia prevede la pena di morte per chi offende Maometto e l’ergastolo per chi offende il Corano, ma offendere il Corano puo’ essere anche solo affermare che Gesù è vero Dio e vero uomo ed è morto in croce.

Quanto all’apostasia, essa è considerata inammissibile, poiché nell’islam si può entrare, ma non è permesso uscirne. Esistono 14 versetti coranici riguardanti l’apostasia che parlano di una “punizione molto dolorosa nell’aldilà”, ma la realtà storica dell’islam spesso è basata e si basa su un hadith in cui Maometto afferma: “Chi cambia religione, uccidetelo” (dagli hadith di Ikrimah). Ecco perchè non sono pochi i paesi musulmani che hanno sanzioni amministrative, penali, o perfino la detenzione, la fustigazione e in ultimo la pena di morte per chi si converte o battezza dei musulmani.

Essere cristiani è pericoloso. Grazie a Dio non si è soli e si segue Gesù non per paura, costrizione o tradizione, ma per Amore, un grande Amore ricevuto a cui si vuole rispondere.
Gesù chiama in ogni nazione, chiama tutti a sè perchè è la Via, la Verità e la Vita.
Chi segue Gesù non perde la vita ma la trova.

Non conoscere le proprie radici é un dolore (Silvana De Mari)

Cristiani, il Natale viviamolo così