Lectio Magistralis, S.E.R. Card. Pietro Parolin – Ditelo “sui tetti”.



DITELO SUI TETTI

Roma, 9 marzo 2022

Gentili Signore e Signori,

Cari amici,

I lavori di questo pomeriggio hanno un contenuto davvero molto elevato, né potrebbe essere diversamente, considerato quanto sia importante il tema che ci impegna. Sullo sfondo di tutti gli interventi che mi hanno preceduto – e a monte di questa stessa iniziativa – c’è un interrogativo, una domanda che dobbiamo porci, anche se è scomodo formularla. Una domanda che a molti appare purtroppo “fuori moda”, se non addirittura anacronistica. Eppure non dobbiamo evitarla, ma al contrario sollevarla noi stessi e affrontarla con decisione e convinzione. Essa consiste in ciò: quale contributo può dare la religione – e anzitutto il Cristianesimo – alla società di oggi? Dinanzi a un mondo sempre più globalizzato, in cui lo stesso concetto di realtà diviene via via più evanescente,tanto che al livello propriamente “reale” si affianca e si sviluppa un concorrente livello “virtuale”; dinanzi ad una vera e propria temperie culturale, accentuata dai mezzi della comunicazione digitale, tale damettere in crisi la stessa idea di uomo e innescareuna vera e propria crisi “antropologica”: di fronte a tutto ciò, cos’ha di interessante, se non addirittura di vitale, da dire ancora il Cristianesimo? È il suo messaggio ancora attuale, in qualche modo utile, se non addirittura ancora più necessario? Il Vangelo è ancora in grado di parlare all’uomo di oggi? Oppure costui è mutato davvero così tanto da poterlodefinitivamente accantonare?

Rispondere a questi interrogativi non è semplice né tantomeno è possibile esaurirli nello spazio di un pomeriggio. Ma il fatto stesso che quest’interrogativo si ponga e che ne discutiamo è già di grande importanza. Vuol dire che, nonostantetutti i tentativi di superamento, le domande di fondo che accompagnano l’esistenza umana – e lainterrogano fondamentalmente sul senso della vita, della morte e della sofferenza – restano immutate e presenti; e restano tali perché fanno parte della stessa natura umana.

Per entrare nel tema vorrei prendere spunto dallo stesso titolo di questo nostro incontro: “Ditelo sui tetti”. È un titolo molto suggestivo, che richiama un invito esplicito di Gesù, ripreso dagli evangelistiMatteo e Luca, a proclamare pubblicamente quello che viene in prima battuta detto in modo confidenziale, intimo e riservato. Qual è l’oggetto di questa confidenza, che deve poi diventare un proclama e che non deve in nessun modo restare silenzioso e nascosto? È l’annunzio della misericordia di Dio! È l’annunzio della buona notizia, del Vangelo stesso. Quell’annunzio che l’uomo riceve dapprima nell’intimo, per farne esperienza diretta e per diventarne di seguito testimone davanti al mondo intero. E poterlo cosìgridare sui tetti appunto, sullo slancio di una vita nuova, fecondata e rinnovata dal tocco dell’amore di Dio.

Quest’amore, questa misericordia infinita di Dio per l’uomo – per ogni uomo concreto, qui ed oggi –non è una pura idea, una filosofia o uno dei tanti umanesimi che hanno attraversato la storia. Questo amore è all’origine di tutto ciò che esiste e ha impresso il suo sigillo nella creazione intera, che ne costituisce la sua prima manifestazione. All’interno di essa, poi, Dio ha eletto ed elevato in modo particolare l’uomo, rendendolo capo e custode della creazione.

Sono queste le coordinate fondamentali dell’antropologica biblico-cattolica, che rispondealla domanda fondamentale: “Chi è l’uomo?” Omeglio sarebbe dire, con le parole di uno dei primi Salmi della Bibbia: “Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi?” (Sal 8).

Nel pensiero cristiano, e più in generale nella Rilevazione biblica, l’uomo non è mai un dato a priori, preesistente a tutto; e tantomeno si è fatto da sé. Nella Bibbia l’esaltazione dell’uomo non insegue le vie dell’autodeterminazione e della libertà senza limiti, propria del modello dell’uomo Prometeo, come descritto dall’On. Menorello, ma passa per il fatto di essere il prodotto delle mani di Dio, composto di fango (elemento terrestre) e di spirito (il soffio divino), portatore sin dall’origine di un’impronta e di un destino trascendenti, che imprimono nel profondo del suo essere l’aspirazione alla felicità e ne fondano il valore assoluto.

Su questo quadro fondamentale – del tutto basilare, proprio della fede veterotestamentaria – si innesta la novità della Rivelazione cristiana che, arricchita dalle categorie filosofiche del pensiero greco, sviluppa un’antropologia frutto dell’incontro tra fede e ragione. Questa sintesi riceve una già matura espressione nel prologo di apertura del quarto vangelo, quello dell’Apostolo Giovanni, laddove leggiamo che “in principio era il Logos, che il Logos era Dio” e che, poco oltre, “tutto è stato creato per mezzo di Lui” (il Logos, appunto). In questo modo la fede cristiana, innestando concettigreci sulle radici giudaiche, giunge ad affermare in modo esplicito la natura e la struttura essenzialmente e profondamente razionali dell’intera creazione in generale e dell’uomo in particolare; e porta al tempo stesso a conclusione un processo di avvicinamento (tra fede e ragione) che era già presente nell’Antico Testamento, ma che doveva perfezionarsi e rendersi esplicito con l’avvento di Cristo, il Verbo-Logos fatto carne.

Nei secoli successivi questa mirabile sintesi cristiana ha favorito lo sviluppo di culture, società, ordinamenti, nei quali la libertà e la dignità della persona hanno potuto fiorire e consolidarsi. Oggi questa stessa sintesi è rimessa in discussione e in alcune parti espressamente rifiutata, senza però produrre un modello alternativo, filosoficamente fondato o dotato almeno di una seria base culturale.Siamo in presenza di un travaglio profondo, che tocca le stesse radici dell’essere umano nelle sue dimensioni fondamentali e che tenta di erodere le categorie previe senza proporne di nuove, un distruggere senza costruire, nella menzogna o nell’illusione di presentare come evoluzione un processo che altro non è che un impoverimento e un indebolimento dell’essere umano. Causa e sintomo, al tempo stesso, di questa crisi antropologica è il fatto che non soltanto l’uomo non sa più chi egli sia; la cosa ancor più grave è che pare che abbia smesso di domandarselo.

In questo modo si finisce per muoversi in ordine sparso, confuso, senza una chiara direzione e, più che arricchire e nobilitare l’uomo, non si fa altro che degradarlo, erodendo il quadro – questo sì davvero generale! – derivato dalla tradizione giudeo-cristiana, che non ha una base solo ed esclusivamente divino-religiosa ma che, come si è già accennato, ha un fondamento razionale e quindi anche autenticamente umano.

In questo senso mi sembra particolarmente felice l’intuizione di definire l’agenda, che quest’oggi si vuole promuovere attraverso questo nostro incontro, come un’agenda “di ispirazione cristiana”. Il termine “ispirazione” infatti sottrae i contenuti dell’agenda al solo ambito cristiano, come se essa possa essere solo la conseguenza di una scelta di fede, e recupera il cuore stesso delmessaggio sull’uomo, portato dal Signore Gesù Cristo. Come ha affermato il Concilio Vaticano II, infatti, Cristo non soltanto rivela Dio all’uomo, ma “svela anche pienamente l’uomo a se stesso” (GS 22). Gli fa conoscere chi veramente egli sia. La “ispirazione cristiana” si fonda pertanto su questa certezza: che ciò che è veramente cristiano è anche veramente umano e, viceversa, ciò che è veramente umano è anche veramente cristiano. Per questo, con il Concilio, possiamo ancora dire che “chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo” (GS 41).

Una conferma di tutto ciò è data dal fatto che molte delle tematiche portate di recente all’attenzione della pubblica opinione hanno visto movimenti o associazioni non dichiaratamente cristiani, e a volte anche esplicitamente lontani,sostenere le medesime posizioni indicate dalla Chiesa Cattolica. Questo perché, mi piace ribadirlo, ciò che la Chiesa vuole, e che la stessa Rivelazione afferma, è che l’uomo sia trattato come un essere nobile e prezioso, secondo quelle che sono le aspirazioni più profonde di ciascuno.

Questa condivisione “larga” dei valori cristiani, che altro non sono che valori propriamente umani, implica l’adozione di un concetto ampio di “ragione” e di “ragionevolezza” – una ragione“allargata” come ha ribadito più volte Papa Benedetto XVI. Un concetto che va oltre gli angusti confini entro i quali vorrebbe relegarlo un atteggiamento falsamente scientifico, che riduce e limita la ragione all’ambito angusto di ciò che è verificabile solo attraverso l’esperimento. Secondo tale atteggiamento le uniche certezze possibili dovrebbero risultare dalla combinazione di matematica ed empiria, senza le quali si sarebbe al di fuori di ciò che è propriamente scientifico e quindi ragionevole. Una tale riduzione, tuttavia, non è solo contraria a ciò che è propriamente “scientifico”, ma anche a ciò che è essenzialmente “ragionevole” e arriva in fondo ad umiliare la ragione stessa, sottraendole l’ambito delle grandi domande sul senso dell’esistenza umana. La ragione infatti avverte spontaneamente la necessità di “allargarsi” agli interrogativi, propriamente umani,sul senso della vita e della morte, le domande del “da dove” e del “verso dove”, che accompagnano e animano tutta l’esistenza. Sono questi gli interrogativi della religione e dell’ethos, che nella misura in cui vengono sottratti all’ambito della ragione degradano nel puro soggettivismo etico e fanno della discrezionalità personale – ma meglio sarebbe dire, dell’arbitrio soggettivo –l’unica istanza etica, insindacabile perché sottratta – per definizione – alla verifica di ciò che è ragionevole e di ciò che non lo è.

Un altro aspetto dell’antropologia cristiana, che si accompagna a questa caratteristica di “ragionevolezza” in senso ampio, e che vi fa quasi da specchio, è quello della dignità. È questo un punto sul quale ha molto – e giustamente – insistito il Presidente Mattarella nel discorso tenuto di recente al Parlamento in seduta comune in occasione della sua recente rielezione. Parlando della dignità, egli è andato al cuore stesso del discorso antropologico.

La Chiesa Cattolica ha un suo parametro per misurare la dignità dell’uomo; un parametro altissimo che, se non ci provenisse dalla stessa Rivelazione cristiana, sarebbe altrimenti indicibile: questo parametro è la vita stessa di Dio. La dignitàumana, ovvero il valore di ogni uomo in quanto tale, è misurato dalla passione di Cristo, dal Suo sangue versato per noi, come la liturgia della Chiesa ci ricorda al cuore della stessa preghiera eucaristica.

Questa dignità dell’uomo, questo suo sublime valore, che la Chiesa annuncia e celebra, è al tempo stesso del tutto “ragionevole” – e quindi accettabile e condivisibile – anche per chi non aderisce espressamente alla fede cristiana. Ogni uomo avverte dentro di sé, sia egli credente o no, di essere portatore di un valore e di una dignità assoluti, senza condizioni. E ciò, ancora una volta, non lo si sperimenta in base ad una verifica empirica, ma in quanto dato del tutto “ragionevole”, nel senso sopra detto.

Se il parametro della ragionevolezza è una caratteristica in qualche modo “filosofica”, quello della dignità è, a sua volta, una caratteristica di ordine etico-morale. A questi due parametri propri dell’antropologia cristiana voglio adesso aggiungerne un terzo, che misura e verifica iprecedenti, completandoli in un insieme armonico: quest’ultimo parametro non è etico, né filosofico, ma di ordine puramente estetico e si traduce nella “bellezza” dell’idea di uomo che il Cristianesimo annuncia e insegna.

Questo della bellezza, infatti, è il valore che più di ogni altro la tradizione biblica e cristiana intendono affermare: la bellezza della creazione in generale e dell’uomo in particolare. Non a caso sia nella lingua ebraica che in quella greca (le lingue in cui è storicamente avvenuta la Rivelazione biblica,tra Antico e Nuovo Testamento), in queste lingue l’aggettivo “buono” è reso con una parola che significa al tempo stesso “bello”.

Ciò significa che quando nelle nostre traduzioni ascoltiamo uno di questi aggettivi, possiamo il più delle volte sostituirlo con l’altro. Nel racconto della Genesi, pertanto, al termine di ogni giorno della creazione Dio afferma: è cosa bella! Ma al termine del sesto giorno, dopo avere creato l’uomo, Dio afferma: è cosa molto bella! Agli occhi di Dio l’uomo è questo: una cosa molto bella!

Ed è per questo che all’uomo si addicono soltanto cose molto belle! È cosa molto bella infatti che una donna partorisca il figlio, sempre. E se anche dovesse farlo in condizioni precarie, se anche non lo avesse pianificato o se fosse addirittura malato, resta una cosa molto bella che una madre lo dia alla luce. Sempre. E quanto più l’accoglienza del figlio implicherà sacrificio, tanto più la scelta in favore della vita sarà stata bella e nobile.

Questi dunque i parametri di ciò che è umano, di ciò che è propriamente umano, alla luce della fede cristiana: la ragionevolezza, la dignità e la bellezza. Tutto ciò coincide con ciò che è propriamente e autenticamente cristiano.

E queste sono a mio avviso le caratteristiche sulle quali fare leva perché il Cristianesimo, la Chiesa, i cristiani, possano oggi “ispirare” pensieri e opere in seno al contesto sociale; e così incidere a non soltanto a livello privato, ma anche pubblico e politico.

Perché quest’azione possa essere svolta e svolta con efficacia, perché questo fermento possa svilupparsi, è necessario anche che ne sussistano alcune condizioni di fondo, le quali devono essere promosse e protette da parte di tutta la comunità; prima e a prescindere dal discorso di fede. Mi riferisco, in particolare, al tema dei rapporti tra Stato e Confessioni religiose. Rapporti che dalla caduta dell’Ancien Régime in poi hanno conosciuto passaggi a volte bruschi ed equilibri altalenanti, dove il principio di laicità è stato diversamentedeclinato. All’atto della sua comparsa, nella Terza Repubblica francese del 1871, con il termine “laïcité” si è infatti indicato uno specifico disegno politico volto alla rimozione forzata della fede cristiana dall’ambito pubblico, non solo cancellando ogni genere di privilegio o concessione pregressi, ma anche con misure persecutorie e di esproprio delle Istituzioni religiose.

Su questa scia, per molto tempo il principio di laicità è divenuto sinonimo di una valutazione negativa del fenomeno religioso, guardato con sospetto a fronte della rivendicazione di una rigida neutralità, ma meglio sarebbe dire indifferenza, religiosa nello spazio pubblico. In questa versione “rigida” del principio di laicità la religione e la professione di fede sono ancora consentite, ma solo ed esclusivamente nell’ambito privato, senza alcun diritto di cittadinanza nell’ambito della sfera pubblica. Sull’onda di questa laicità – che invero meglio sarebbe definire “laicismo” – il compito principale dello Stato sarebbe quello di proteggere la libertà di coscienza dell’individuo da ogni possibile influsso di origine religiosa, considerato incompatibile con la nuova professione di fedeltà della persona, una fedeltà nei confronti dello Stato,sostituitosi a Dio.

Nel corso del secolo precedente e in particolare nel secondo dopoguerra la situazione è via via migliorata, almeno in alcuni ordinamenti. Sebbene la chiusura dello Stato nei confronti del fenomeno religioso si sia andata attenuando, è tuttavia rimasta molto diffusa la nozione di fondo della laicità come separazione rigida tra Stato e religione, dove quest’ultima viene bandita dallo spazio pubblico e la libertà religiosa relegata al solo ambito privato.

A fronte di queste interpretazioni del principio di laicità non sono mancate invece prospettazioni di contenuto diverso che, superando ogni forma di sospetto nei confronti del fenomeno religioso, hanno invece favorito un’evoluzione del principio nel senso di una collaborazione e di un arricchimento dello Stato e dello Stato-comunità in particolare, proprio grazie alla religione. Questa più matura declinazione del principio di laicità è stata peraltro affermata in Italia dalla stessa Corte Costituzionale,con la storica pronuncia del 1989 in materia di insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche. Alla laicità intesa come separazione rigida viene opposta una laicità che, per usare le stesse parole della Corte “… implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”.

In quest’accezione lo Stato non è più opposto al fenomeno religioso e intento a limitarne le espressioni, ma al contrario – nella legittima, e direi anzi necessaria, distinzione degli ambiti – legarantisce e le protegge, impegnandosi a rimuovere gli ostacoli che impediscono l’esercizio della libertà religiosa.

Questa laicità, invocata in passato come laicità “sana” o “positiva”, può essere oggi forse meglioindicata come laicità “autentica”, secondo l’espressione usata dal compianto Prof. Giuseppe Dalla Torre. Una laicità “autentica” perché garantisce il legittimo esercizio di un altrettanto autentica libertà religiosa e che traduce dal punto di vista dello Stato quello che il Concilio Vaticano II ha espresso dal punto di vista della Chiesa Cattolica. Mi riferisco non solo all’insegnamento conciliare circa La legittima autonomia delle realtà terrene, di cui al n. 36 della Costituzione conciliare Gaudium et spes; ma ancor più a quanto si afferma in relazione ai rapporti tra La comunità politica e la Chiesa, al n. 76 della stessa Costituzione conciliare, dove dopo avere affermato che

“La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo”,

si prosegue insegnando che

“… tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale degli stessi uomini. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace, quanto più coltiveranno una sana collaborazione tra di loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo. L’uomo infatti non è limitato al solo orizzonte temporale, ma, vivendo nella storia umana, conserva integralmente la sua vocazione eterna”.

Separazione dunque, tra Stato e Chiesa; ma non indifferenza, tantomeno sospetto, dell’uno nei confronti dell’altra. Questo implica anzitutto la libertà della Chiesa e dei cristiani di esprimere anche nell’ambito pubblico pensieri, azioni e comportamenti corrispondenti alla propria fede con il pieno diritto di sollecitare, ben oltre la sfera del privato, corrispondenti azioni pubbliche e leggi a tutela dei valori professati.

Questa laicità “autentica”, dove lo Stato non impedisce l’espressione religiosa ma anzi ne profitta, nella doverosa distinzione di ambiti, farà sì che i laici possano davvero compiere la loro missione, essere “sale della terra e luce del mondo”.

È nel contesto di questa laicità autentica, infine,che può fiorire quella politica “migliore” di cui parla Papa Francesco nel corso del capitolo V dell’Enciclica Fratelli tutti. Una “politica migliore”perché popolare in senso proprio e non populista (nn. 156 ss.) e che sia riempita di un vero “amore politico” (nn. 180 ss.), che diventa un amore efficace (nn. 183 ss.) e che, come ancora insegna il Santo Padre,

“è sempre un amore preferenziale per gli ultimi,che sta dietro ogni azione compiuta in loro favore. Solo con uno sguardo il cui orizzonte sia trasformato dalla carità, che lo porta a cogliere la dignità dell’altro, i poveri sono riconosciuti e apprezzati nella loro immensa dignità, rispettati nel loro stile proprio e nella loro cultura, e pertanto veramente integrati nella società. Tale sguardo è il nucleo dell’autentico spirito della politica” (n. 187).

Tali affermazioni, sulle quali tutti siamo naturalmente e istintivamente d’accordo, non hanno fondamenti razionali auto-evidenti, non rispondono a sillogismi di natura matematica-scientifica, ma sono il riverbero dello Spirito Creatore e sono fondate sulla convinzione che l’uomo, ogni uomo, è un essere unico e irripetibile, perché amato da Dio.

Questa è la base, questo è il fondamentodell’antropologia cristiana, che altro non è che lo sguardo di Dio sull’uomo stesso. Uno sguardo che gli consegna la dignità più grande possibile e che lo vede sempre come “cosa molto bella”. Questo è il contributo che la Chiesa può dare, oggi come ieri, alla famiglia umana di ogni luogo e tempo.

Questo è soprattutto ciò che il mondo ha bisogno di ascoltare, perché ogni volta che se ne dimentica offusca non solo la presenza di Dio, ma la dignità, la bellezza e il valore dell’uomo.

Questo, per concludere, è ciò che la Chiesa, i cristiani, ma in fondo tutti gli uomini di buona volontà possono, anzi debbono, gridare sui tetti.

Grazie.

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