La procreazione artificiale/assistita è accettabile?

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Uno sguardo positivo

La famiglia e la coppia possono avere aiuti dalla scienza in caso di problemi di fecondità.
Ma la scienza non sempre è libera da interessi di tipo economico, commerciale o politico, e non si può abdicare alla propria coscienza e ai valori (anche quelli della fede) per arrivare ai propri desideri di maternità e paternità.
Purtroppo con troppa facilità invece di cura dei problemi di fecondità si propone subito il ricorso a tecniche di fecondazione artificiale (e in rari casi di quella assistita).
Analizziamo le varie tecniche:

Inseminazioni artificiali classiche

L’impiego di queste tecnologie ha avuto origine oltre 60 anni fa, con le prime applicazioni sugli animali, mirate a fini commerciali e di mercato. Successivamente, tali metodiche sono state estese all’uomo, soprattutto a coppie sterili. Esse consistevano in inseminazioni artificiali, ovvero nel favorire, mediante l’ausilio di tecniche mediche, la fertilità di un rapporto sessuale di coppia per conseguire la nascita del figlio desiderato. In questi primi tentativi, ancor oggi ampiamente utilizzati, il ruolo della medicina si limitava a “agevolare” l’atto fisico sessuale svolto dalla coppia al fine di renderlo fecondo. Pertanto, unicamente questa forma di procreazione potrebbe essere adeguatamente definita “procreazione assistita”, poiché l’equipe medica svolge unicamente il compito di “assistere” un atto coniugale precedentemente posto in essere dalla coppia.

La procreazione in vitro

La svolta decisiva avviene nel 1978, con la nascita della prima bambina concepita in vitro (Louise Brown). Naturalmente, questa nascita si è verificata senza alcun coinvolgimento di rapporti sessuali da parte dei genitori: l’ovulo della madre e lo spermatozoo del padre sono stati uniti in provetta.

La possibilità di combinare in provetta ovuli e spermatozoi di individui non legati da vincoli matrimoniali ha comportato non solo la separazione dell’atto sessuale dalla procreazione, ma soprattutto l’inclusione di “terze parti” nel processo procreativo: coloro che donano il seme o l’ovulo, o coloro che prestano o affittano il proprio utero, e così via.

Questo tipo di procreazione, come si può osservare, ha profondamente alterato e stravolto la tradizionale concezione dei soli due genitori nella procreazione di un figlio, tanto da suscitare dibattiti riguardo alla possibile formazione di una “cooperativa di genitori”.

La posizione della Chiesa Cattolica

Il Magistero ufficiale della Chiesa si è occupato di procreazione assistita da diversi decenni (Pio XII). Non sono quindi attendibili le posizioni – anche in seno al cattolicesimo – che la Chiesa è contraria a ogni intervento “artificiale” in materia di procreazione. Ciò è verificabile nei documenti ufficiali della Chiesa, a partire dagli interventi ai medici di Pio XII e soprattutto nei recenti documenti Donum vitae ed Evangelium vitae.

La Chiesa accetta la procreazione assistita a tre condizioni:

a) deve svolgersi all’interno di una coppia legata da un vincolo stabile, che generalmente è quello matrimoniale; b) deve essere effettuata con un comune rapporto sessuale, e non evitando il rapporto coniugale; c) non deve comportare interventi invasivi o rischi rilevanti a danno dell’embrione o del feto (questi tre criteri sono proposti nel documento Donum vitae).

Attualmente queste tre condizioni si verificano solo nella inseminazione artificiale tra marito e moglie, conseguente a un rapporto sessuale. Ogni altro intervento che prevede una terza persona, o un danno all’embrione o al feto o che non preveda l’atto sessuale è per la Chiesa inaccettabile.

Le ragioni del no alla procreazione in vitro

Negativo è il giudizio sulla procreazione in vitro, non nel suo essere “artificiale”, ma in tutta una serie di problemi – almeno sette – che sorgono in seguito al tentativo di realizzazione di questa tecnologia:

1)  l’insuccesso di questa metodica;

2)  l’enorme spreco di embrioni;

3)  l’alta abortività, dal momento che il successo è solo del 15-20%;

4)  la frantumazione antropologica e affettiva del legame sessualità-procreazione;

5)  la presenza di terze persone, nel caso di donatore di ovuli o di spermatozoi;

6)  una più grande proporzione di malformazioni o di malattie congenite;

7)  gli effetti economici degradanti, che non sono indifferenti.

Si pensi alla compravendita di ovuli, di spermatozoi, di affitti di utero, della selezione degli embrioni, dei costi strumentali delle strutture biomediche deputate alla realizzazione della fecondazione in vitro.

Paolo Botti

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