Il Mistero si manifesta nelle piccole cose

Carissimo padre Aldo, meno male che ci sei. Quando ti ho fatto visita in Paraguay sono stato molto provocato dall’esperienza di “bellezza” che ho vissuto con te vedendo le tue opere ad Asunción. Ho voluto approfondire questa dimensione così travolgente e vera perché volevo capirne la sua natura. Scusami se mi permetto di mostrarti citazioni che tu certamente conosci ma vorrei andare al fondo di questa cosa.

Lo stilista Santo Versace ha raccontato di avere cominciato ad andare in bottega che aveva sei anni. La madre è stata la sua scuola alla bellezza del guardare, del fare, del decidere, dell’educare, del donare, del ricevere. Libertà è bellezza, diceva. E dove non c’è bellezza non c’è libertà. Albert Camus: «Un mondo dove non c’è più posto per l’individuo, per la gioia, è un mondo che deve morire. Nessun popolo può vivere fuori dalla bellezza. Può al massimo sopravvivere per qualche tempo. Questa Europa si allontana incessantemente dalla bellezza. Per questo si agita e per questo morirà». Dostoevskij ci ricorda come «L’umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane; soltanto senza bellezza non potrebbe più vivere… La bellezza salverà il mondo». Gli antichi filosofi greci sostenevano che il bello è lo splendore del vero. Per chi intraprende cose belle, qualsiasi cosa gli succeda, anche di soffrire, è bello. Papa Benedetto XVI diceva che l’incontro con la bellezza può diventare una salutare “scossa” che fa uscire l’uomo da se stesso, lo strappa alla rassegnazione, dall’accomodamento del quotidiano, lo fa anche soffrire, come un dardo che lo ferisce, ma proprio in questo modo lo “risveglia” aprendogli nuovamente gli occhi del cuore e della mente, mettendogli le ali, sospingendolo verso l’alto. E nell’omelia ai funerali di don Luigi Giussani, l’allora cardinale Joseph Ratzinger disse che don Giussani era cresciuto in una casa povera di pane, ma ricca di musica, e così dall’inizio era toccato, anzi ferito, dal desiderio della bellezza, non si accontentava di una bellezza qualunque, di una bellezza banale: cercava la Bellezza stessa, la Bellezza infinita, e così ha trovato Cristo, in Cristo la vera bellezza, la strada della vita, la vera gioia».

Padre Aldo, solo a questo punto ho cominciato a intuire cosa avevo vissuto da te in Paraguay. Ogni dettaglio di quella realtà è bello, ma di un bello vero, molto diverso dall’idea superficiale che circola nel mondo di oggi; lì da te ho visto la Bellezza autentica, quella che ti scuote nel profondo e ti fa sussultare tanto è vera ed estranea all’esperienza solita. L’ho vista ovunque, anche nei volti dei malati terminali, nei bambini che soffrono, nel volto delle cameriere del bar e della pizzeria, nel personale della scuola. E mi sono commosso e stupito. Perché? Da dove nasce questa tensione alla bellezza che dà forma a tutti i particolari? Ma proprio a tutti tutti. Per esempio, a me pare di una genialità grandissima la tua scuola che è un castello medioevale! Hai ragione a sostenere che la bellezza della struttura è un fattore di primaria importanza. Dici che è il 50 per cento del processo educativo per il bambino perché vedendo e vivendo in quelle mura è educato a una esperienza positiva, a capire che la vita è bella. Davvero la bellezza nasce dalla carità, dalla presenza di Cristo riconosciuta in ciò che c’è e ne è il vertice.

Mi hai detto che il bello è sempre espresso dal gesto e dalla struttura materiale. Ciò è la vera sintesi tra la parola e l’azione che altrimenti rimarrebbe parola e basta creando un vuoto, una mancanza. Ecco perché, come ci ha insegnato don Giussani, la liturgia è il vertice e il paradigma della realtà e della bellezza. La liturgia è il gesto supremo dove parola e azione sono armonizzati, dove è vinto il dualismo e la loro distanza. Ho notato che nella chiesa di San Rafael la cura dei dettagli è un’espressione affascinante ed è bellissimo vedere come le persone entrano in chiesa ordinatamente, come si dispongono, in silenzio: significa che sono state educate da una bellezza che tu hai loro mostrato, un ordine che nasce dalla fede, non fine a se stesso. Nel gesto stesso c’è una presenza che cambia, che corrisponde all’umano. Che il Divino si manifesti nelle pieghe solite, nel dettaglio banale e quotidiano è proprio rivelatore di Dio fatto uomo che nulla disprezza e tutto ama e che dopo il peccato originale ci chiama al lavoro della bellezza iniziale, terrena, carnale, caparra dell’eterno.

Mi sono ricordato di un episodio accadutomi a 17 anni, quando ho incontrato il movimento e ho conosciuto don Giussani. Essendo io un tipo molto disordinato, quando andavo a letto buttavo i pantaloni e la maglietta in un angolo. Mia mamma aveva provato in tutti i modi a farmi piegare i vestiti, ma inutilmente. Ero così pieno di gratitudine e di gioia per aver trovato Cristo che quella sera ho ordinato camicia e pantaloni perché volevo fare ogni gesto bene, ero proteso al bello. E mia madre rimase sbigottita, non credeva ai suoi occhi!

Don Carròn, dopo un commovente ricordo dello sguardo con cui don Giussani si è rivolto per l’ultima volta ai suoi amici, ha scritto che «per tutta la vita l’umanità di don Giussani ci ha comunicato il cristianesimo come esperienza, ben altra cosa che una serie di istruzioni per l’uso o discorso corretto e pulito. È una vita, la Chiesa, un’esperienza umana così affascinante che ti cattura. Questa è la sua bellezza. Dov’è la “stranezza” della nostra fede che tanti non si spiegano, rimanendone stupiti? Dove sta l’origine dell’attrattiva di don Giussani, del suo carisma? In una bellezza incontrata e comunicata. Contro un cristianesimo come bellezza non potrà mai nulla la cultura dominante, il potere. Ce la potrebbe fare contro una fede ridotta a etica, a valori comuni. Ma contro l’avvenimento di una bellezza presente, no!». Voglio sempre di più seguire e inseguire questa esperienza che don Carròn ci mostra in modo così pertinente e bello!
Luca Brighenti

Caro Luca, ti ringrazio per la tua lettera dove sei riuscito ad esprimere la bellezza che caratterizza questo posto che ti ha visto protagonista per alcune settimane. Durante la tua permanenza mi hai manifestato più volte il tuo stupore per la bellezza che si respira in questo posto che potremmo definire “una valle di lacrime”, perché ogni opera ospita persone che soffrono. Il dolore e la bellezza camminano sempre uniti. Non esiste in questo mondo una bellezza che non contenga in se stessa il dolore. La realtà è come un parto. Mi hanno commosso sempre le parole di san Paolo: «La natura geme i dolori del parto aspettando la resurrezione dei figli di Dio». Questa coscienza della realtà mi ha sempre accompagnato nei 23 anni di missione in Paraguay, compiuti l’8 settembre scorso. Tuttavia mi si è fatta evidente quando, rimasto da solo, sono stato nominato parroco. Mi sono sentito perso, impotente, incapace di assumermi questa responsabilità. Non ero mai stato parroco prima e per quel motivo mi sono chiesto: cosa significa questo compito? Da dove partire? Che progetto pastorale devo sviluppare? Nelle riunioni di decanato ascoltavo gli altri parroci parlare di piani pastorali, di migliaia di cose che un parroco dovrebbe realizzare. Mi sono spaventato e sono tornato a casa preoccupato non sapendo che pesci prendere, assorto nei miei pensieri. Mi sono inginocchiato davanti al Santissimo Sacramento e gli ho detto due cose.

La prima: «Signore, credo che il parroco dovrai farlo Tu, io ti farò da vicario». È per questo motivo che gli ho fatto una cappella nella quale ho messo l’ostensorio con l’ostia consacrata in modo che la Sua presenza fosse per me e per la parrocchia il cuore di tutto. La seconda è stata quella di vivere ogni istante come relazione con l’Infinito e ogni dettaglio della realtà con la certezza che è parte del corpo di Cristo. Ricordo bene di essermi detto: «Non ti preoccupare per i piani pastorali ma vivi ogni momento guardando in faccia Gesù». La bellezza, senza rendermi conto, si è imposta giorno dopo giorno, mi sono occupato di educare tutti a questa mentalità, mostrando come, per esempio, venire in chiesa in silenzio, inginocchiarsi bene davanti al tabernacolo, cantare senza gridare, non buttare cartacce sul pavimento, usare i bagni in una certa maniera, acquistano una prospettiva più corrispondente al proprio cuore. Mi sono anche impegnato affinché persino la struttura architettonica riflettesse questa coscienza della grande presenza e quando è arrivato padre Paolino questa impostazione è diventata la preoccupazione più grande del nostro impegno educativo. Per questo è diventato familiare il lemma «la bellezza è il vertice della carità». A cosa servirebbero tante parole se nei dettagli della vita quello che testimoniamo è il disordine, la sporcizia, la confusione? Quanta gente è tornata alla fede calpestando questo lembo di terra che la superiora Generale di una congregazione definì «un paradiso in terra!».

Aldo Trento –  2013 –  Tempi

Articolo tratto da www.tempi.it per gentile concessione della redazione (7-7-2023).

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