Nostro Signore Gesù Cristo dice che il perdono deve essere concesso solo a chi è veramente pentito:- se un tuo fratello pecca, rimproveralo; ma se si pente, perdonagli – ( Lc 17,3 ).
Giovanni Paolo II insegna che la penitenza -(.) lungi dall’essere un sentimento superficiale, è un vero capovolgimento dell’anima. (.) Fare penitenza vuol dire (.) cambiare direzione anche a costo di sacrificio – e riparare il male fatto a Dio, a se stessi, ai fratelli, a tutto il creato.
(1)
– Fare penitenza (.) è qualcosa di autentico ed efficace soltanto se si traduce in atti e gesti di penitenza. (.) La penitenza (.) è la conversione
che passa dal cuore alle opere (.)- (2)
Il perdono non esclude la giustizia: Dio stesso con il battesimo e la confessione ci rimette la colpa ma non il castigo temporale provocato dalla colpa. La misericordia di Dio ha perdonato la colpa, ma la giustizia di Dio ha mantenuto le ferite causate dal peccato, ferite che sono il castigo inflitto dall’uomo a se stesso: infatti gli uomini continuano ad essere soggetti alla pena delle tentazioni, alla pena del dolore, della malattia e della morte fisica.
Insegna Giovanni Paolo II che – in nessun passo del messaggio evangelico il perdono, e neanche la misericordia come sua fonte, significano indulgenza verso il male, verso lo scandalo, verso il torto o l’oltraggio arrecato. In ogni caso la riparazione del male e dello scandalo, il risarcimento del torto, la soddisfazione dell’oltraggio sono condizione del perdono- . (3)
Come condizione del perdono, Dio fece ricadere su Gesù l’iniquità di
tutti: – il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti- ( Is 53,5 ).
L’analisi del peccato, della sua vera essenza e dell’itinerario che da esso ha origine, indica che, ad opera del diavolo, vi sarà lungo la storia una costante pressione al rifiuto di Dio che porta fino all’odio verso il
Creatore: amore di sé fino al disprezzo di Dio, come dice S. Agostino.
La giustizia di Dio ha stabilito per la redenzione il processo inverso: l’
amore di Dio fino al disprezzo di sé da parte del figlio prediletto, che offrì un sacrificio perfetto mediante l’atto della sua morte: – offrì se stesso senza macchia a Dio – ( Eb 9,14 ). (4)
La morte di Gesù non è un atto di pacifismo ma un atto di obbedienza al Padre. Infatti, Giuda, i capi della Sinagoga, Pilato e i carnefici non hanno su Cristo alcun potere tranne quello che Lui stesso vuole concedere e solo quando è venuta l’ora decisa dal Padre.
La vita, dice Gesù, – nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio -. ( Gv10,18 ).
Per dimostrare la sua potenza, Gesù, in un primo momento fa stramazzare al suolo tutti quelli che sono venuti ad arrestarlo nel Gethzemani ( cfr Gv
18,4-6 ).
Il – calice – della passione è il destino che gli ha riservato il Padre:
nella letteratura biblica il calice è il simbolo del destino perché i nomi degli interessati che venivano tirati a sorte erano posti dentro un calice.
Il sacrificio della vita è stato voluto dal Padre e Gesù, come uomo, solo a Dio chiede di togliere tale pena:- Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!- ( Mt 26,39 ).
La morte di Gesù non deve essere confusa con la logica del pacifismo: la crocifissione di Nostro Signore è un atto di obbedienza alla giustizia voluta dal Padre, è un atto di amore per noi e un atto di condivisione dell’
umana sofferenza. (5)
In merito al pacifismo Giovanni Paolo II precisa:- Noi non siamo pacifisti, non vogliamo la pace ad ogni costo. Una pace giusta. Pace e giustizia. La
pace è sempre opera della giustizia. – Opus iustitiae,
pax -. (6)
Se il perdono non esclude la giustizia ma, anzi, la giustizia è condizione del perdono, in che cosa consiste il perdono? Perdonare significa, propriamente, donare di nuovo: perdonare è la disponibilità personale a donare di nuovo il nostro aiuto a chi è pentito.
Perdonare significa che non dobbiamo odiare il colpevole che è pentito, cioè non dobbiamo desiderare il male per il male: perdonare significa offrire il nostro aiuto al colpevole veramente pentito per il male fatto e questo compatibilmente con le esigenze della giustizia che esige la riparazione del male e la punizione del colpevole
Il castigo è un male, cioè la privazione di un bene, il criminale, per esempio viene privato del bene della libertà, ma tale sacrificio di un bene viene fatto non per il desiderio del male in se stesso ma con lo scopo di salvaguardare o di ottenere un bene più grande. Bisogna tenere presente che esiste una gerarchia dei beni: il bene dell’anima è superiore al bene del corpo e il bene rappresentato dai diritti dell’innocente, della famiglia e della comunità civile è superiore al bene della libertà del criminale.
Inoltre bisogna considerare il fatto che, anche quando si tratta di una condanna, lo Stato non dispone dei diritti dell’individuo. Lo Stato può privare il condannato del bene della libertà, in espiazione del male fatto, dopo che, con il suo crimine, egli si è già privato del suo diritto alla
libertà: la perdita di certi diritti va attribuita allo stesso criminale che vi si è esposto con la sua azione.
La disposizione d’animo del perdono è bene espressa nell’opera di misericordia corporale che dice di – visitare i carcerati – ma non dice di abolire le carceri e le condanne.
Se la giustizia, dunque, non solo è lecita ma doverosa, come interpretare
queste parole di Gesù: – (.) ma io vi dico di non opporvi al malvagio;
anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due -.
( Mt 5,38 – 41 )
Queste parole dette da Gesù non possono essere interpretate alla lettera ma devono essere intese in senso metaforico. Infatti, Nostro Signore, che ha raccomandato di non opporsi al malvagio e di porgere l’altra guancia, in realtà, non si è comportato secondo la lettera di tale insegnamento. A Gerusalemme, dopo aver fatto una sferza, percosse i mercanti che si trovavano nel tempio ( cfr Gv 2,14 – 15 ).
Quando una delle guardie del Sommo Sacerdote lo schiaffeggia, invece di porgere l’altra guancia si oppone al malvagio difendendosi verbalmente:- se ho parlato male, dimostrami dov’è il male, ma se ho parlato bene, perché mi
percuoti?- . ( Gv 18,23 )
Giovanni Paolo II, nella lettera enciclica Evangelium vitae, citando il Catechismo della Chiesa Cattolica, insegna che – (.)” la legittima difesa può essere non soltanto un diritto, ma un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri, del bene comune della famiglia o della comunità civile “. Accade purtroppo che la necessità di porre l’aggressore in condizione di non nuocere comporti talvolta la sua soppressione. In tale ipotesi, l’esito mortale va attribuito allo stesso aggressore che vi si è esposto con la sua azione (.)-. ( 7 )
La legittima difesa è forse in contrasto con il V comandamento che dice di – non uccidere – ?
Il Catechismo della Chiesa Cattolica precisa il senso del V comandamento citando integralmente il passo biblico dove viene enunciato:- la Scrittura precisa la proibizione del V comandamento: ” non far morire l’innocente e il giusto ” ( Es. 23,7 ). L’uccisione volontaria di un innocente è gravemente contraria alla dignità dell’essere umano, alla – regola d’oro – e alla santità del Creatore. La legge che vieta questo omicidio ha una validità
universale: obbliga tutti e ciascuno, sempre e dappertutto-. (8)
La rinuncia al diritto di difendersi da parte del singolo contro un ingiusto aggressore – quando non provoca danni ai diritti del prossimo e non è fatta per vigliaccheria o per odio e indifferenza verso la propria vita – può assumere un significato profetico, cioè attestare in maniera assolutamente credibile la fede in un’altra vita e nella giustizia definitiva e perfetta di Dio. Ma la legittima difesa, dato il vincolo di solidarietà che ci lega agli altri uomini, è quasi sempre un grave dovere, soprattutto per i governanti che sono responsabili del bene comune. Un operaio, per esempio, può rinunciare ad esigere la giusta mercede defraudatagli da un datore di lavoro, ma i governanti devono comunque impegnarsi perché venga impedita l’ingiustizia attraverso l’uso lecito della forza e cioè attraverso l’opera delle forze dell’ordine, dei tribunali e attraverso l’applicazione delle pene stabilite dai tribunali. Scrive il Vescovo Sandro Maggiolini: – la persona può rinunciare al diritto di difendersi (.)- ma – (.) chi rinuncia al diritto di difendersi deve interrogarsi sui danni e sulla mancanza di aiuto che provoca a chi da lui dipende.
Si pensi, come esempio, a un padre che ha la responsabilità di figli ancora incapaci di provvedere a se stessi -. (9)
L’apostolo Paolo, nella lettera ai Romani, dice :- Vuoi non avere da temere l’autorità? Fa il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male -. ( Rm 13,3 – 4 ). Quindi, Dio ha affidato ai governanti la spada per punire chi fa il male.
Per quanto riguarda il controverso e difficile problema della pena di morte, Giovanni Paolo II dice che esso si colloca all’interno del problema della legittima difesa della società allo scopo di difendere l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone: – in questo orizzonte si colloca anche il problema della pena di morte (.) – (10)
La pena di morte, negli insegnamenti più recenti del magistero, viene paragonata ad un mezzo eccezionale come quello della guerra: pratiche da scongiurare con ogni sforzo ragionevole.
Si tratta di un vero e proprio sviluppo della dottrina sul tema, un approfondimento che è in continuità con gli insegnamenti già posseduti dal
magistero: nuovi aspetti della verità che vengono messi in luce e si aggiungono a quelli già conosciuti per raggiungere un’intelligenza più profonda della rivelazione e anche per evitare idee pericolose che possono portare all’errore.
La pena di morte dovrebbe essere per l’autorità un mezzo del tutto straordinario, un rimedio estremo per mali estremi che non possono essere evitati e prevenuti in altro modo. (11)
Si tratta di un’indicazione generale di natura morale che viene data alle autorità civili alle quali appartiene il compito di valutare realisticamente la situazione e giudicare se i mezzi incruenti sono sufficienti per proteggere l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone.
La Chiesa vuole ricordare che la prevenzione del crimine non può essere realizzata soltanto mediante il timore delle pene: la prevenzione va fatta prima di tutto a monte, per mezzo di un’educazione dei giovani rispettosa dei valori morali e va fatta soprattutto proteggendo e difendendo l’
esistenza e la stabilità dell’istituto familiare perché la dissoluzione della famiglia e il relativismo morale sono cause che favoriscono l’
insorgere della delinquenza minorile.
Insegnava già San Benedetto da Norcia, nella sua regola, che le punizioni corporali andavano bene per coloro che erano avanzati nella via dello spirito, nella conoscenza della virtù, mentre tali punizioni erano inutili per tutti gli altri perché essi non erano in grado di capirle.
Quali casi straordinari potrebbero giustificare il ricorso alla pena di morte? Oggi, nelle società più progredite, con l’organizzazione sempre più adeguata dell’istituzione penale, questi casi sono ormai molto rari e forse l’unico caso, che potrebbe rende necessaria tale pena per proteggere l’
ordine pubblico e la sicurezza delle persone, potrebbe essere quello di un fenomeno criminale talmente grave e diffuso da terrorizzare i cittadini e impedire il dovere civico della testimonianza: una tale situazione è simile allo stato di guerra ed è quella che può realizzarsi, per esempio, con il fenomeno mafioso, quando esercita un controllo sul territorio, dispone di un vero e proprio esercito armato, e impedisce, con la pena di morte, la collaborazione e la testimonianza dei cittadini.
Qualcuno vede una certa contraddizione tra le esigenze della giustizia e lo spirito delle beatitudini enunciato da Gesù, in particolare le beatitudini dove viene detto: – beati gli afflitti perché saranno consolati – e – beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli ( Mt 5,4 e 5,10 ). Le beatitudini evangeliche, in realtà, non intendono distogliere l’uomo dalla realizzazione della giustizia ma dall’
atteggiamento integralista di chi crede di poter realizzare un mondo e una società perfetti per cui finisce per non fare più distinzioni tra Paradiso e mondo, tra Cesare e Dio, tra verità e legge, tra stato e religione, tra fede e vita. Il cristiano, invece, in analogia con quanto si deve praticare nella vita spirituale individuale, deve evitare di confondere la sfera della fede con quella della vita, ma altrettanto deve accuratamente guardarsi dal separare la fede dalla vita. (12)
Le beatitudini – (.) permettono di stabilire l’ordine temporale in funzione di un ordine trascendente, che senza togliere al primo il suo specifico contenuto, gli conferisce la sua vera misura. (.) Le beatitudini preservano dall’idolatria dei beni terreni e dalle ingiustizie, che la loro sfrenata bramosia comporta. Esse distolgono dalla ricerca utopistica e pericolosa di un mondo perfetto, perché ” passa la scena di questo mondo “
( 1 Cor 7,31 ). (13)
Le beatitudini, dunque, possono essere considerate un manifesto contro l’
utopia: esse ricordano che in questo mondo non può esistere la perfezione ma è possibile un continuo progresso dell’uomo verso la verità, nel senso che può essere aumentata la comprensione soggettiva della verità e può essere continuamente migliorata la sua applicazione.
Dopo queste spiegazioni, come interpretare l’insegnamento di Gesù in merito al – porgere l’altra guancia – ? San Tommaso d’Aquino spiega che Gesù non è venuto ad abolire l’antica legge ma a completarla ( cfr Mt 5,17 ). Queste massime di nostro Signore si riferiscono, in particolare, ai precetti giudiziali dell’antica legge: si tratta del diritto positivo del popolo ebreo che doveva garantire la giustizia. Cristo completa i precetti giudiziali nel senso che ne spiega il vero significato. Gli ebrei credevano lecito il desiderio di vendetta, mentre le pene dovevano essere applicate per amore della giustizia e non per odio verso la persona che aveva commesso un delitto. Per questo Cristo dice di amare il nemico e di porgere l’altra guancia. Gli ebrei credevano lecita la cupidigia delle ricchezze per le pene del taglione che comandavano la restituzione dei beni rubati con un sovrappiù di multa, mentre tali pene dovevano essere applicate per amore della giustizia e non per desiderio di ricchezza. Ecco perché il Signore dice di essere pronti a cedere di più a chi ci deruba.
Tali espressioni evangeliche, dice S. Agostino, vanno intese come – disposizioni d’animo -, altrimenti esse non hanno senso. (14)
Giovanni Paolo II nella enciclica Dives in Misericordia dice che – (.) sarebbe difficile non avvedersi che molto spesso i programmi, che prendono avvio dall’idea di giustizia e che debbono servire alla sua attuazione nella convivenza degli uomini, dei gruppi e delle società umane, in pratica subiscono deformazioni. Benché essi continuino a richiamarsi alla medesima idea di giustizia, tuttavia l’esperienza dimostra che sulla giustizia hanno preso il sopravvento altre forze negative, quali il rancore, l’odio e perfino la crudeltà. In tal caso, la brama di annientare il nemico, di limitare la sua libertà, o addirittura di imporgli una dipendenza totale, diventa il motivo fondamentale dell’azione; e ciò contrasta con l’essenza della giustizia che, per sua natura, tende a stabilire l’eguaglianza e l’
equiparazione tra le parti in conflitto.
Questa specie di abuso dell’idea di giustizia e la pratica alterazione di essa attestano quanto l’azione umana possa allontanarsi dalla giustizia stessa, pur se venga intrapresa nel suo nome. Non invano Cristo contestava ai suoi ascoltatori, fedeli alla dottrina dell’Antico Testamento, l’
atteggiamento che si manifestava nelle parole: ” Occhio per occhio e dente per dente “. Questa era la forma di alterazione della giustizia in quel tempo; e le forme di oggi continuano a modellarsi su di essa. E’ ovvio, infatti, che in nome di una presunta giustizia ( ad esempio, storica o di classe ) talvolta si annienta il prossimo, lo si uccide, si priva della libertà, si spoglia degli elementari diritti umani. L’esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all’annientamento di se stessa, se non si consente a quella forza più profonda, che è l’amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni. E’ stata appunto l’esperienza storica che, fra l’altro, ha portato a formulare l’asserzione: summum ius, summa iniuria.
Tale affermazione non svaluta la giustizia e non attenua il significato dell ‘ordine che su di essa si instaura; ma indica solamente, sotto altro aspetto, la necessità di attingere alle forze dello spirito, ancor più profonde, che condizionano l’ordine stesso della giustizia -. (15)
La giustizia, da sola, può portare alla negazione di se stessa senza la disposizione d’animo dell’amore per il nemico. Quando Gesù afferma, – (.) io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello – ( Mt 5, 39 – 40 ), cosa realmente vuole dire? Cosa significano queste frasi: sono una metafora o vanno prese alla lettera ? Se queste frasi devono essere seguite alla lettera, un operaio, per esempio, che viene sfruttato dal suo datore di lavoro, non dovrebbe esigere giustizia ma, anzi, dovrebbe favorire il suo ulteriore sfruttamento. Dice Giovanni Paolo II:- Non si tratta qui certamente di acconsentire al male. E neppure ci viene proibita una legittima difesa nei confronti dell’ingiustizia, del sopruso o della violenza. Anzi è a volte soltanto con un’energica difesa, che certe violenze possono e debbono essere respinte.
Quello che Gesù ci vuole insegnare innanzitutto con quelle parole, come con le altre (.), è la netta distinzione che dobbiamo fare tra la giustizia e la vendetta.
Ci è consentito di chiedere giustizia; è nostro dovere praticare la giustizia. Ci è invece proibito vendicarci o fomentare in qualunque modo la vendetta, in quanto espressione dell’odio e della violenza -. (16)
Per quanto riguarda l’insegnamento di Gesù che afferma – amate i vostri nemici – ( Mt 5,44 ), Giovanni Paolo II dice che – (.) non va inteso nel senso di un’approvazione del male compiuto dal nemico. Gesù invece ci invita ad una veduta superiore, magnanima, simile a quella del Padre celeste, per la quale, anche nel nemico e nonostante sia nemico, il cristiano sa scoprire ed apprezzare aspetti positivi, meritevoli di stima e degni d’essere amati:
primo fra tutti, la persona stessa del nemico, creata, come tale, ad immagine di Dio, anche se, al presente, è offuscata da un’indegna condotta. – (17)
Il nemico è il non amico, colui che fa il male e che non vuole pentirsi.
La persona del peccatore deve essere sempre amata perché essa è stata creata da Dio a sua immagine anche se al momento presente è offuscata e deformata dal peccato. Il peccato del nemico, al contrario, deve essere odiato e combattuto e l’aggressore deve essere messo in condizione di non nuocere.
Non possiamo, dunque, stare insieme cioè essere amici e solidali con coloro che fanno il male: non ci può essere solidarietà con coloro che fanno il male e questo comporta un allontanamento dalle opere malvagie del peccatore in tutte quelle azioni che possono significare complicità o condivisione nei confronti del male. Nello stesso tempo bisogna evitare quella solidarietà indiretta verso il male che consiste nei peccati di omissione, primo fra tutti il mancato ammonimento e il mancato insegnamento nei confronti del peccatore. L’insegnamento dell’amore verso i nemici deve essere messo in relazione con questi altri insegnamenti di Gesù:- pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra ? No, vi dico, ma la divisione. D’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre – ( Lc 12,51- 53 ).
– Ma se qualcuno scandalizzasse uno di questi piccoli, che credono
in me, sarebbe meglio per lui
che gli fosse appesa al collo una macina da asino e venisse sommerso nel
fondo del mare – ( Mt 18, 6 ). – Se qualcuno viene da voi e
non porta questa dottrina, non ospitatelo in casa, né dategli il saluto, poiché chi gli rivolge il saluto, partecipa alle sue opere malvagie- (2
Gv10 ).
L’amore di carità – cioè amare Dio al di sopra di se stessi e il prossimo per amore di Dio – può e deve richiedere il sacrificio dell’amore umano perché non è possibile amare veramente il prossimo senza amare prima Dio e i suoi comandamenti: senza Dio finiremmo, anche senza volerlo, a causa delle passioni disordinate, per fare del male a noi stessi e al prossimo, confondendo i piaceri disordinati e momentanei con il bene e finendo facilmente per persuaderci che è falso ciò che non vorremmo fosse vero.
– Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama
il figlio o la figlia più di
Me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita la perderà: e chi avrà perduto la
sua vita per causa mia, la troverà.- ( Mt 10, 37 – 39 ).
( Bruto Maria Bruti )
Bibliografia:
1) Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia, esortazione apostolica post-sinodale sulla
riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa oggi, 2 dicembre 1984, n.26
2) Giovanni Paolo II, ivi, n.4
3) Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Dives in misericordia, 30 novembre 1980, n.14
4) cfr Giovanni Paolo II , Lettera enciclica Dominum et Vivificantem
sullo Spirito Santo nella vita della Chiesa e del mondo, 18 Maggio 1986, n.38; cfr Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Salvifici Doloris sul senso cristiano della sofferenza umana, n.17
5) cfr Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Salvifici doloris, ivi,
n.16
6) Giovanni Paolo II, Supplemento ed. settimanale dell’Osservatore
Romano, n.44, 22 febbraio 1991, p.3
7) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium Vitae sul valore e l
‘inviolabilità della vita umana, 25 Marzo 1995, n.55
8) Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2261
9) Sandro Maggiolini, Breve esposizione del cristianesimo, ed, Piemme,
Casale Monferrato (AL ), 1985, p. 98
10) Giovanni Paolo II. Evangelium Vitae, op. cit., n. 56
11) cfr Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2267, testo italiano
aggiornato del 1999; cfr Evangelium Vitae, op. cit. n. 56
12) Cfr Il messaggio del Papa a Strasburgo, in Giovanni Cantoni, Papa Giovanni Paolo II a
Strasburgo: religione e libertà, Cristianità, Piacenza, ottobre 1988, n.162, pp. 3-6
13) Istruzione della Sacra Congregazione per la dottrina della fede, Libertà cristiana e liberazione,
22 marzo 1986, approvata dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, n. 62
14) S. Tommaso d’Aquino, Summa Teologica I – II, q. 108, a.3
15) Giovanni Paolo II,Dves in Misericordia, op. cit., n. 12
16) Giovanni Paolo II, Omelia alla parrocchia di S. Chiara a Vigna Clara-
Due Pini, Le visite pastorali del Vescovo di Roma, L’Osservatore Romano
23 – 24 febbraio 1987, n. 2
17) Giovanni Paolo II, ivi, n. 3
Bruto Maria Bruti
LA NOSTRA SESSUALITÀ
Felicità, desiderio e piacere nell’essere umano
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