Ha gettato alle spalle una buon lavoro e la stabilità. Per dedicarsi a tempo pieno a barboni e prostitute, profughi e bambini di strada. Ma anche alla scuola di italiano per straniere, e a due case famiglia in Romania. Oggi, il fondatore degli “Amici di Lazzaro” non è ancora contento. E guarda al Sudan e alla Cina… di Stefania Garini
«Ho cominciato ad andare alla stazione, per stare con i barboni, quando avevo poco più di vent’anni. Eravamo in cinque o sei, guidati da un gesuita francese, padre Jean-Paul; una sera la settimana andavamo a trovarli, parlavamo con loro, cantavamo e pregavamo insieme, e alla fine si distribuivano cibo, bevande calde e vestiti». Da allora per Paolo Botti, torinese di 33 anni, quello alla stazione di Porta Nuova è diventato un appuntamento fisso. «A poco a poco abbiamo fatto amicizia con le persone, e abbiamo iniziato ad andare a trovarli anche nei dormitori, due volte la settimana». Dopo qualche tempo, padre Jean-Paul lascia la città, e Paolo decide di fondare l’associazione degli Amici di Lazzaro. Siamo nel ’97. Da allora, il numero delle persone avvicinate ogni anno è aumentato esponenzialmente. Oggi sono circa 700. Ma non si tratta solo di barboni.
Ragazze
di strada
Le persone incontrate alla
stazione sono le più diverse: profughi, alcolizzati, tossici. E poi ci sono le
prostitute nigeriane, che prendono il treno per andare fuori città. Paolo e i
compagni fanno amicizia anche con loro, vanno a trovarle a casa e persino sul
posto di “lavoro”. Dal ’99 iniziano le uscite notturne: gruppi di
volontari, a turno, incontrano le ragazze, parlano con loro, portano tè e dolci
cantano, pregano. E soprattutto le informano sulla possibilità, prevista
dall’art. 18 della legge 286/98, di usufruire di un programma di protezione nel
caso in cui denuncino gli sfruttatori. «Oggi abbiamo sei unità di strada, che
ogni anno avvicinano circa 400 ragazze; più un’unità che segue i senza fissa
dimora e un’altra, di recente costituzione, nata per affrontare una nuova
emergenza: quella dei “bambini di strada”, costretti all’accattonaggio
o a lavare i vetri ai semafori».
Ma quante sono le ragazze che escono effettivamente dal giro? «in percentuale
non molte – ammette Paolo – Circa 35 hanno denunciato i protettori, un’altra
trentina ha invece deciso di fuggire, pur senza sporgere denuncia. Ma i
risultati del lavoro si vedono nel lungo periodo: anche dopo anni, le ragazze
che sono scappate (o che hanno pagato il “debito” ai protettori e ora
sono libere), continuano a tenersi in contatto con noi, soprattutto perché ci
vedono come degli amici, e non solo perché le aiutiamo a trovare casa e lavoro».
Le ragazze che entrano nei programmi di protezione sono infatti aiutate dal
Comune e da associazioni come la Caritas o il Gruppo Abele, con cui gli Amici di
Lazzaro collaborano da tempo. E le altre? «Nel solo 2003, grazie a privati
cittadini, abbiamo ottenuto l’inserimento lavorativo di una quarantina di
ragazze. Per lo più come colf, baby-sitter o badanti. Non sempre in regola con
i libretti, ma è comunque un inizio».
Un
salto nel buio
L’artefice di tutto è lui,
Paolo, che fin da piccolo si è ritrovato con quel “pallino” dei
poveri. Un pallino che non lo ha abbandonato neanche da adulto, ad esempio
quando entra in contatto con i gesuiti nella speranza di partire volontario in
Africa. In attesa dell’evento, Paolo lavora alla Comau, un’azienda del gruppo
Fiat, come progettista elettronico, e si iscrive alla facoltà di informatica.
Ma dopo qualche anno lascia gli studi e, appena ottenuta una promozione e un
aumento di stipendio, decide di licenziarsi. Un salto nel buio. «Abitavo da
solo fin dall’età di 18 anni, e dovevo mantenermi. Ma già quando lavoravo
facevo una vita da povero, in un alloggio spartano, non avevo la tv né
l’automobile, nessuna spesa superflua. Quando ho deciso di licenziarmi, ho
regalato tutto quello che mi restava, mobili, dischi, libri… Ormai saranno
12-13 anni che non mi compro un vestito». Paolo racconta la sua storia con
semplicità, non si sente diverso o migliore degli altri, e raccomanda: «Non
voglio dare il messaggio che quello che ho fatto io sia la cosa giusta. Ognuno
ha la sua strada nella vita, la sua vocazione. E la mia è da sempre vivere da
povero con i poveri». Una vocazione laica, ma animata da una fede profonda. «Se
non avessi la fede, non potrei fare questa vita».
Vita “iniziata” all’indomani del licenziamento, quando i gesuiti
dell’Istituto Sociale lo chiamano per affrontare un’emergenza: bisogna
occuparsi di alcune famiglie in difficoltà. Perché possa farlo al
meglio, lo ospitano in un minialloggio, dove Paolo vive ancora oggi. «A
quel punto ho capito che la mia strada non era andare nel Sud del mondo,
ma aiutare i poveri che abbiamo qui tra noi tutti i giorni». Oggi, tra
gli incarichi per conto dei gesuiti e quelli per gli Amici di Lazzaro,
Paolo lavora – senza alcuna retribuzione – sette giorni su sette,
moltissime ore al giorno. Svolge anche dei piccoli lavori per mantenersi
e non gravare sui poveri che aiuta. Oltre alle attività con le persone
che vivono in strada, con stranieri e prostitute (c’è chi ha bisogno di fare i
documenti, chi di essere accompagnato da un medico, chi chiede da mangiare e chi
un lavoro), c’è da rispondere a mail e telefonate, fare i comunicati stampa per
la sensibilizzazione; poi gli incontri con le altre associazioni, i momenti di
preghiera, la messa africana in inglese una volta la settimana, e i frequenti
corsi di formazione con cui durante l’anno si “addestrano” i nuovi
volontari.
La
scuola d’italiano
Ma chi sono questi amici di
Lazzaro? La tipologia dei volontari, oggi 150, è abbastanza omogenea: si tratta
soprattutto di giovani (per l’80% al di sotto dei 30 anni), molti dei quali
laureati o studenti universitari, di entrambi i sessi. Con qualche lieve
differenza: ad esempio negli incontri alla stazione sono presenti in numero
maggiore gli uomini, mentre ai corsi di italiano per straniere c’è una
prevalenza di volontarie donne. Il corso di italiano è nato un po’ per caso, «una
delle ragazze che seguivamo era analfabeta, a un certo punto ci ha chiesto di
insegnarle a leggere». Detto fatto: dal giugno 2000 è stato avviato un corso
gratuito per straniere di ogni età, provenienza e livello culturale. La sede
dove si svolgono le lezioni è un ex negozio, il cui uso è stato concesso
gratuitamente dalla proprietaria, un’anziana filantropa. «È così che ci
arriva la maggior parte delle cose, il cibo da distribuire, o gli abiti e le
coperte, e persino i mobili: da privati benefattori che ci aiutano senza
chiedere nulla in cambio». Paolo ha una fiducia assoluta nella Provvidenza. E
gli ostacoli? «A dire il vero non ci bado tanto. Certo, se avessimo più
abitazioni o posti di lavoro da offrire, sarebbe meglio. Ma queste cose vengono
con il tempo».
Famiglie
aperte
Sono nate così anche le
“domeniche di Lazzaro”: giovani coppie che nei giorni di festa aprono
le porte di casa alle ragazze straniere, condividendo il pranzo e il tempo
libero. C’è chi le porta a spasso il sabato pomeriggio, chi organizza gite e
feste, chi le ospita nel periodo delle vacanze. «Inizialmente – spiega Paolo –
questa forma di accoglienza è stata escogitata per le persone che pur
desiderando fare del volontariato non hanno molto tempo a disposizione, a causa
degli impegni lavorativi e familiari». Ma c’è anche chi ha iniziato a ospitare
profughi o ragazze di strada per periodi più lunghi. Di recente anche la
Regione Piemonte ha avviato un’iniziativa simile, le “famiglie
professionali”: nel progetto si prevede di dare uno stipendio (e una
formazione adeguata) a quelle famiglie dove uno dei coniugi è senza lavoro, ma
danno la disponibilità ad accogliere bambini o persone in difficoltà.
www.amicidilazzaro.it Volontari per lo sviluppo – Gennaio
un altro testo per capire chi è Paolo
Testimonianza a Taize’
Chi sei? Mi chiamo Paolo Botti, da quando avevo 23 anni faccio una vita un po’ particolare, perché dopo qualche anno di lavoro come progettista elettronico in una grande azienda, decisi di lasciare tutto e dedicarmi alle “cose” che portavo dentro: il desiderio di darmi agli altri e vivere nel concreto l’Amore del Signore. Inizialmente pensavo di stare in Italia ancora per qualche mese per poi partire per l’Africa o il Brasile dove avevo amici che già avevano fatto questa scelta. Non mi sono mai preoccupato del futuro perché sono convinto (e lo sperimento ogni giorno) che il Signore “benedice” , cioè provvede a tutto, quando ci si fida di Lui.
Tanto più quando si sceglie di seguirlo dedicandosi all’evangelizzazione e ai poveri.
Quale è la tua scelta di servizio? La mia scelta è l’attività con gli Amici di Lazzaro, che è il mio impegno verso gli ultimi .Gli Amici di Lazzaro sono una realtà composta da un centinaio di giovani che pian piano si sta espandendo anche in altre diocesi italiane (e all’estero).Abbiamo iniziato occupandoci dei senza fissa dimora e pian piano ci siamo accorti che il mondo della strada e dei poveri era vastissimo e le urgenze molte…Dalle stazioni in cui incontravamo e incontriamo tuttora i senza casa siamo poi andati nei dormitori, e poi nei viali dei falò delle ragazze costrette a prostituirsi,ora stiamo preparando il lavoro di strada per aiutare i bimbi costretti a elemosinare e a rubare per le vie torinesi. E dall’amicizia con le persone in strada è nato il desiderio di aiutare, di condividere il nostro tempo, e ciò che ognuno di noi poteva dare e fare e sono nati una casa famiglia per l’accoglienza, un centro per l’insegnamento dell’italiano, uno sportello informativo per persone in difficoltà, attività all’estero in Romania coi bimbi di strada, in Costa d’Avorio e presto in Nigeria… I poveri quindi sono la mia scelta. I poveri e la preghiera , perché noi abbiamo iniziato andando a pregare coi poveri e ancora oggi chi ci incontra sa che con noi possono pregare e non solo ricevere cose o l’ascolto o aiuti materiali. Pregare coi poveri e da amici , alla pari, condividere ciò che si è e ciò che si ha di materiale ma anche di spirituale. Di associazioni che fanno carità ce ne sono tante. Ma che pregano e danno preghiera e mendicano di poter pregare col povero ce ne sono poche. Oso dire che con gli Amici di Lazzaro imparo a pregare e ad aver fede dai poveri.
E’ un privilegio il pregare coi poveri e diventare loro amici.
Sì siamo noi a mendicare e a chiedere ai poveri di poter pregare con loro, di avere questo dono da loro.
Certe sere in strada preghiamo con le Nigeriane e si impara veramente tanto….
Altre volte sono i barboni o le ragazze madri a insegnarci come si loda Dio….
Un’altra cosa importante del servizio ai poveri è che non ci devono essere limiti di tempo e di luogo, dove c’è povertà, dove c’è un bisogno , siamo chiamati a fare qualcosa e a mettere in gioco tutto il nostro tempo e la nostra voglia di vivere.
Quali elementi (fatti,
persone, …) ti hanno convinto a fare questa scelta di servizio e se c’è una
persona che è stata in qualche misura strumento o accompagnatore in questa
scelta?
La
persona che mi ha convinto a stare dalla parte dei poveri è stato Gesù.
Lui
mi ha fatto capire che la mia vita “normale” era già bella , ma che mi
mancava il poter amare gli ultimi, i semplici e anche i nuovi poveri di oggi…
i soli, i depressi, gli annoiati della vita.
Poi
l’esempio di tanti amici e il supporto di un confessore abituale che negli
anni delle scelte mi aiutò a decidere che fare e a chi dare la mia vita, pur
coi miei limiti e difetti e peccati umani.
Comunque c’era in me il desiderio di non accontentarmi di avere cose
materiali, ma di essere un attore attivo di fronte alle sofferenze, alla
indifferenza e alle ingiustizie del mondo intorno a noi.
Cosa ti sostiene nel quotidiano per portare
avanti il tuo servizio?
Sicuramente
la fede, senza fede avrei mollato da tempo, perché di fronte alle sofferenze, o
di fronte alle situazioni a volte impossibili da risolvere, solo chi ha fede può
avere speranza.
Di
fronte a un malato terminale, di fronte a una situazione di violenza, di fronte
al male nelle sue forme più brutte, solo con la fede si può trovare la forza
di andare avanti, perché ci si siede ai piedi della croce e insieme a Gesù
crocifisso si porta la croce e si affidano a Lui le persone, le situazioni , i
volti incontrati per cui umanamente non si può far nulla.
La preghiera e l’Eucarestia. Pregare dando ciò che ho dentro a Lui. E
nutrirmi di Gesù il più sovente possibile, per poter affrontare il mondo non
con mezzi umani , ma con la forza di chi tutto mette nelle mani di Dio, pur
facendo anche tutto il possibile.
Cosa hai ricevuto dall’esperienza del servizio?
Tanto,
tanto, mi ha proprio cambiato la vita, mi ha cambiato il cuore, a volte vorrei
inginocchiarmi di fronte a certi poveri che incontro per la loro fede e dire
“Grazie!!”
Il mondo è la mia casa, la strada è il mio salotto, parlo abbastanza 5-6
lingue e vorrei impararne altrettante per poter ascoltare e parlare a chiunque
incontro, e poter pregare in ogni lingua.Anche se già la fede ha un linguaggio universale.
Ho imparato a non giudicare, ma anche a intervenire, a dire, a prendere
posizione, non politicamente, ma cristianamente perché al povero va anche
insegnata la fede, non solo con l’esempio, ma anche con la parola, anche con
la dialettica intrisa di amore e rispetto.
I
poveri mi hanno aperto e incendiato il cuore. E il fuoco quando si accende non
può star fermo , perché si deve diffondere, e bruciare e dare calore e luce
anche intorno a noi.
Se
hai un suggerimento da dare agli educatori perché possano educare i giovani
alla carità.
Prima di tutto gli educatori devono educare se stessi, se un educatore non dà
la sua vita, il suo tempo, se è avaro di preghiera e di amore, porta poco
frutto e non può educare altri alla fede e alla carità.
Per portare i giovani alla carità bisogna portarli sul campo e far conoscere
loro la realtà, anzi le persone della realtà.
Perché
la carità cristiana, non vuol dire fare un servizio, ma amare qualcuno, e dare
a quelle sofferenze, a quella ragazza che sta male, a quel bambino senza
famiglia , un po’ di amore, un amore che noi abbiamo ricevuto da Dio e che
vogliamo ridonare e regalare intorno a noi perché tutti sappiano che anche
nella sofferenza Dio ci è vicino e non ci abbandona.
Bisognerebbe portare i giovani a fare piccole esperienze di servizio e poi dare
loro spazio perché le sentano loro.Si rischia a volte però di far fare ai giovani del semplice volontariato, che
è già una cosa buona, ma che non incide sulla fede, anzi può essere un
contentino per “sentirsi buoni” e a posto con la coscienza. Quindi va con
coraggio proposta la preghiera come filo conduttore del servizio. La Carità cristiana è
veramente qualcosa di più . Il Papa nel 2000 disse che questo è il tempo della
Fantasia della Carità, bisogna inventare, creare cose nuove, nuovi modi di fare
servizio.
Bisogna essere attivi, usare i mass media, internet, le email, la musica, e
andare a cercare i giovani dove sono:
le
scuole, le palestre, i pub, le discoteche, i circoli, e proporre loro incontri
di conoscenza, e poi di approfondimento sulle povertà, perché sono temi che a
loro interessano, sennò si rischia che vadano a fare volontariato con altri
gruppi e associazioni che li allontanano dalla fede anziché avvicinarli.
Quindi
preghiera. Fantasia, Coraggio, spazio
alla creatività dei giovani , per esempio dando loro spazio nell’usare le
loro forme espressive a favore dei poveri.
Intervista di Stefania Garini a Paolo Botti per Volontari per lo Sviluppo