Ratzinger spiegò perché lo Stato assoluto trova un limite nella libertà religiosa

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Un atto senza precedenti nella storia, così è stata definita nei giorni scorsi la nota verbale consegnata da Monsignor Paul Richard Gallagher, ministro degli Esteri della Santa Sede, all’Ambasciata d’Italia presso lo Stato pontificio. Nella nota, una comunicazione formale preparata in terza persona, viene chiesta la modifica del disegno di legge Zan in nome del rispetto del Concordato tra lo Stato italiano e la Santa Sede del 1984.

La nota afferma che diversi punti del disegno di legge “riducono la libertà garantita alla Chiesa cattolica dall’articolo 2, commi 1 e 3 dell’accordo di revisione del Concordato”. Sono i commi che garantiscono alla Chiesa “libertà di organizzazione, di pubblico esercizio di culto, di esercizio del magistero e del ministero episcopale” (comma 1) e assicurano “ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” (comma 2).

Per la Santa Sede, l’articolo 7 del DDL Zan metterebbe in discussione la “libertà di organizzazione” perché, riporta la stampa, “non esenterebbe le scuole private dall’organizzare attività” scandite secondo i temi dell’agenda Lgbt.

Viene ritenuto contrario ai patti fra la Chiesa e lo Stato anche l’articolo 4 del disegno di legge, quello che affida a un giudice il delicato compito di decidere se le opinioni espresse dai cittadini italiani possono incitare “al compimento di atti discriminatori e violenti”. Tali opinioni sarebbero punite anche con il carcere. L’articolo 4, secondo il Vaticano, compromette perciò “la libertà di pensiero” dei cattolici.

Troppo facile per l’anticlericalismo vetero-laicista, di fronte alle preoccupazioni espresse per l’emanazione di una legge dello Stato italiano, invocare immediatamente i vecchi leitmotiv contro il Concordato stesso, arruolando discutibili testimonial del Mainstream.

Sul fronte religioso-modernista, invece, si è provato ad ipotizzare una azione all’insaputa di Papa Francesco, una ipotesi smentita dai fatti come rappresentati dalla Sala stampa della Santa Sede.

In realtà, l’azione che ha visto protagonista Monsignor Paul Richard Gallagher, è tutt’altro che una indebita ingerenza da parte del Vaticano negli affari interni di uno Stato e dimostra come la posta in gioco nella approvazione del DDL Zan sia altissima: la possibilità per la comunità ecclesiale – clero e laici, istituzioni formative e università, editoria e informazione, associazioni, gruppi e movimenti – di continuare a manifestare e diffondere pubblicamente gli insegnamenti della Chiesa in materia di morale.

Pensiamo solamente alle polemiche circa l’utilizzo dei manuali di bioetica del Card. Elio Sgreccia da parte di alcuni atenei universitari in Italia, tacciati appunto di “omotransfobia”, cioè la stessa fattispecie che dovrebbe costituire reato secondo il disegno di legge in discussione al Senato.

Quello che fa specie, e non ha precedenti, è che la Santa Sede esprima preoccupazione non per le condizioni di rischio dei cristiani nei Paesi islamici o in Cina bensì in Europa e più nello specifico nella “cattolica” Italia dove vige, per l’appunto, il Concordato. E ci dà la cifra esatta della gravità della situazione.

Lungi dall’essere la Chiesa a ingerire negli affari prettamente interni dello Stato, è proprio lo Stato ad interferire in un campo non di propria spettanza, quello della morale, con l’imposizione dell’ideologia di genere e dell’agenda Lgbt in chiave illiberale, attraverso una legge che introdurrebbe nuove ipotesi di reato inevitabilmente collegate alla concezione della vita e del mondo, della morale e della sessualità.

Quello che si sta consumando, nei fatti, è forse l’ultimo capitolo dello scontro fra lo Stato moderno post-cristiano e anti-cristiano, ormai vittorioso in Europa occidentale e Nord America, e l’eccezione italiana, come la definiva San Giovanni Paolo II, riferendosi al modello di laicità positiva espressione proprio del Concordato del 1984.

A questo proposito, vi è una omelia straordinaria, ancora attualissima, del Card. Ratzinger, allora Arcivescovo di Monaco e Frisinga, pronunciata in occasione di una celebrazione liturgica per i deputati cattolici del Parlamento tedesco, che a oltre quarant’anni di distanza può essere considerata una apologia della vera laicità e del sano rapporto tra fede e politica, oggi smarrito.

Vale la pena di coglierne alcuni passi, nei quali Joseph Ratzinger spiega perché le pretese assolutistiche dello Stato trovano il proprio limite nella libertà religiosa, che è una conquista del Cristianesimo.

“L’epistola e il vangelo, che abbiamo appena sentito, derivano da una situazione – afferma il Card. Ratzinger nel 1981 – in cui i cristiani non erano soggetti attivi dello Stato ma erano perseguitati da una dittatura crudele. Non era loro consentito di portare insieme con altri lo stato, ma potevano soltanto sopportarlo. Non era loro consentito di formare uno stato cristiano. Il loro compito era di vivere da cristiani nonostante lo stato. (…) Lo Stato romano era falso e anticristiano proprio perché voleva essere il totum delle possibilità e delle speranze umane. Così esso pretende ciò che non può; così falsifica ed impoverisce l’uomo. Con la sua menzogna totalitaria diventa demoniaco e tirannico. L’eliminazione del totalitarismo statale ha demitizzato lo Stato ed ha liberato in tal modo l’uomo politico e la politica.”

Il Cristianesimo, demitizzando lo Stato e rifiutando il culto divino dell’imperatore, ha mostrato agli uomini come lo Stato non rappresenti la totalità dell’esistenza umana e come esso non abbracci tutta la speranza umana.

La libertà religiosa ha posto dei limiti invalicabili per il potere politico e così ha prodotto la vera laicità. Ricorda il Cardinale nell’omelia: “i cristiani (…) hanno riconosciuto i limiti dello Stato e (…) non vi si sono piegati là dove non era loro lecito piegarsi, perché era contro la volontà di Dio.”

Ma lo Stato pre-cristiano e pagano cosa c’entra con le odierne liberaldemocrazie che cedono il passo all’ideologia di genere e alle sue pretese illiberali? “Quando la fede cristiana – incalza Ratzinger – la fede in una speranza superiore dell’uomo, decade, insorge allora di nuovo il mito dello Stato divino, perché l’uomo non può rinunciare alla totalità della speranza. Anche se simili promesse si atteggiano a progresso e, rivendicano per sé in assoluto il concetto di progresso, esse sono tuttavia, storicamente considerate, una retrocessione a prima della Novità cristiana, una svolta a rovescio della scala della storia”.

“Ed anche se esse – continua il prelato bavarese – vanno propagandando come proprio scopo la perfetta liberazione dell’uomo, l’eliminazione di qualsiasi dominio sull’uomo, sono tuttavia in contraddizione con la verità dell’uomo e in contraddizione con la sua libertà, perché costringono l’uomo a ciò che può fare egli stesso. Una simile politica, che fa del regno di Dio un prodotto della politica e piega la fede sotto il primato universale della politica, è per sua natura politica della schiavitù”.

Schiavitù come quella che oggi vuole imporre il pensiero unico, e alla quale la Chiesa deve resistere, rivendicando legittimi diritti, prerogative e spazi di libertà per i credenti, nel segno di quella laicità positiva che nasce dall’incontro tra fede e ragione, Chiesa e politica, verità e tolleranza, senza esclusioni e imposizioni arbitrarie.

“Il primo servizio che la fede fa alla politica è la liberazione dell’uomo dall’irrazionalità dei miti politici, che sono il vero rischio del nostro tempo (…) la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco dell’umanità dell’uomo e delle sue possibilità (…) La fede cristiana ha distrutto il mito dello Stato divino, il mito dello Stato-paradiso e della società senza dominio o potere. Al suo posto ha invece collocato il realismo della ragione. Ma ciò non significa che la fede abbia portato un realismo libero da valori, il realismo della statistica e della pura fisica sociale. Al vero realismo dell’uomo appartiene l’umanesimo e all’umanesimo appartiene Dio. Alla vera ragione umana appartiene la morale, che si alimenta ai comandamenti di Dio. Questa morale – conclude l’allora Arcivescovo di Monaco e Frisinga – non è un affare privato. Ha valore e importanza pubblica”.

I laicisti non lo hanno compreso, ma il Concordato è la pietra di inciampo dello Stato assoluto, è il baluardo della nostra libertà.
di Benedetto delle Site

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