Il dramma delle mutilazioni sessuali femminili: dove si praticano e il contributo della Chiesa per fermare questa triste pratica
I NUMERI
Secondo stime piu’ attendibili (Oms, Onu, Unicef) la pratica dell’infibulazione interessa almeno 200 milioni di bambine al mondo.
Ogni anno continuano a subirla 5-6 milioni di adolescenti.
L’Africa sub-sahariana è il posto dove tali pratiche sono più diffuse, ma anche i paesi arabi, Egitto e Yemen in testa, Europa e Stati Uniti.
DOVE SI PRATICA
Sono 34 i paesi dove, con modalità diverse, si pratica la
mutilazione dei genitali femminili. I paesi con la più alta prevalenza tra le ragazze e le donne tra i 15 e i 49 anni sono la Somalia (98%), la Guinea (97%) e Djibouti (93%).
LE REGOLE
A Maputo, in Mozambico, nel luglio del 2003, i capi di Stato e di governo dell’Africa, a conclusione del vertice dell’Unione Africana, hanno approvato all’unanimità (53 su 53) un documento in difesa dei diritti delle donne, che al capitolo 5 proibisce la mutilazione genitale femminile. Finora soltanto i Parlamenti di tre Paesi su 53 lo hanno ratificato. E ne occorrono 15 perché l’accordo diventi legge continentale.
Durante il convegno tenutosi a Nairobi (16 – 18 settembre 2004), voluto dal governo keniano in collaborazione con il movimento “Non c’è pace senza giustizia”, che ha coinvolto moltissime Organizzazioni non Governative e gruppi della società civile fortemente radicati sul territorio e sponsorizzato, tra gli altri, da Unione Europea, Unicef, Governo norvegese e Cooperazione italiana, il Kenya che già un paio di anni fa aveva varato il “children act” a difesa dei bambini, ha annunciato di aver firmato il protocollo di Maputo che proibisce per legge le mutilazioni. Come hanno fatto pure Comore, Rwanda e Libia. E come si accinge a fare anche il Ghana che dovrebbe ospitare la prossima conferenza sulla mutilazione genitale femminile.
STORIA E SITUAZIONE ATTUALE
I primi a proibire questo costume furono i Gesuiti nel XVII secolo. Ma il problema non venne mai affrontato veramente dagli europei fino ai primi anni del secolo XX, quando in Kenya i missionari protestanti scozzesi proibirono tale pratica ai loro fedeli.
Il padre del Kenya moderno, Yomo Keniatta, difese l’infibulazione come una pratica culturale importante.
In Sudan l’amministrazione coloniale inglese la proibì nel 1946 e la pratica si ridusse drasticamente per un breve periodo. Ma l’intervento fu considerato una violenza colonialista e la pratica riprese drasticamente.
L’Egitto ha affrontato il problema nel 1959, istituendo una commissione per lo studio del problema, ma l’intervento non è stato vietato fino al 1997, anche per il clamore suscitato dalla morte di una bimba infibulata. Tuttavia la pratica è ancora molto diffusa: soprattutto il personale paramedico compie l’intervento arrotondando così il proprio scarso stipendio.
Altro paese dove è molto praticata la mutilazione genitale femminile è il Senegal. Qui sia i leader politici che quelli religiosi si stanno opponendo a questa pratica. Anche il Ghana ha promulgato una legge che la vieta, il Burkina Faso ha istituito un comitato nazionale anti escissione. Grave la situazione in Somalia. La somala Kadhy Koita che a Bruxelles dirige il network europeo per lo “sradicamento delle “Fgm”, (le mutilazioni genitali femminili), racconta che nel suo paese, considerato la patria delle Fgm, si pratica ancora l’infibulazione faraonica (vedi nota finale) Kadhy Koita
spiega poi come il fenomeno dell’infibulazione vada ampliandosi in alcune comunità – Francia e Olanda soprattutto – di emigrati africani in Europa. In particolare quelli provenienti da Somalia, Mali e Guinea Bissau.
E chiarisce anche che la pratica dell’infibulazione non è legata a un’unica religione. Durante la conferenza internazionale contro la mutilazione genitale femminile di Nairobi (settembre 2004), Safia Ewlmi Dijbril, assistente del ministro della sanità gibutino, ha raccontato che per gli arabi di Gibuti l’infibulazione va praticata entro i primi dieci giorni di vita, mentre i somali e gli afar aspettano anche fino a tre settimane.
La popolazione di Gibuti, dove è previsto a dicembre un incontro internazionale sul problema, è musulmana al 99% e circa il 93% delle ragazze sono mutilate.
LE TRE FORME DI INFIBULAZIONE
Le mutilazioni genitali femminili praticate per motivi “rituali”, e non
terapeutici, sono di tre tipi:
1. Circonsione o “Sunnah”: una limitata escissione.
2. Escissione: agisce più in profondità tagliando e mutilando parti molto delicate.
3. Infibulazione o circoncisione faraonica o sudanese: asportazione delle parti più sensibili arrivando ad occludere lo stesso organo tranne il minimo necessario per le funzioni di sopravvivenza.
In tutti questi casi, lo scopo è quello di togliere il piacere sessuale
della donna, snaturata e trasformata così in un oggetto.
Queste pratiche sono eseguite a diversa età a seconda della tradizione: per esempio nel sud della Nigeria sono le neonate a subire la mutilazione, in Uganda le adolescenti, in Somalia le bambine.
Le conseguenze di questa mutilazione sono dolori fortissimi anche soltanto nella quotidianità, con dolori ciclici laceranti, gravidanze e parti nei quali rischieranno la vita (una su 16 in Africa, mentre le statistiche parlano di 1 su 3 mila in Europa). E menomazioni permanenti, se restano in vita. (R.F.) (Agenzia Fides )
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