Carissimo padre Aldo, sono molto affezionata a te, alla tua storia che ti permette di vivere “in Cristo”. Appartengo al movimento di Cl fin dalla “prima ora”. Infatti, ho conosciuto don Giussani e il suo carisma che mi hanno permesso di “cercare” Gesù in tutte le circostanze della vita, da quando frequentavo a Milano la scuola superiore… era Gioventù studentesca del 1960. Ho avuto la fortuna di ascoltarti in diversi incontri e le tue lettere che amici comuni mi passano sono sempre una scuola di vita, per questo ringrazio molto te e il Signore. Ho ancora presente una delle tue ultime, quando dicevi «avevo bisogno di incontrare gli amici perché mi ricordassero che… È il Signore!!!».
Alla luce di questo ho tanto bisogno (più di me, mia figlia) di un tuo “è il Signore!”. Mi sento impotente (prego molto ma manca l’agire mio) per aiutare mia figlia. Insegna religione da diversi anni, sempre votata all’amore per i suoi bambini, i cui occhi riescono a dirle più di quanto vorrebbero. Si è dedicata da sei anni ad aiutare un bimbo in una situazione famigliare molto particolare. Per questa cosa si è spesa tantissimo. La vedo soffrire molto in questo “martirio” e sono ora a chiederti una preghiera. Stasera mi diceva: «Quando fai caritativa e ti spendi per il destino e per il bene dell’altro, non puoi non esserne coinvolta… quello che fa male è sentirsi letteralmente buttati via quando non servi più… cercata solo “se servi”, succhiata quando servi, poi gettata via».
Non ha mai cercato ricompensa al suo affetto gratuito, affetto qualche volta anche ricambiato ma solo se serviva, altrimenti quello che arrivava erano solo cattiveria e male. Alcuni amici le dicono di lasciar perdere, ma lei risponde: «Ho bisogno che il Signore dia senso a questo dolore». Soprattutto quando l’impegno è stato dato, a volte preteso, in quanto anche madrina di Cresima del bimbo. Grazie per la tua preghiera e noi preghiamo per te e i tuoi bimbetti.
Lettera firmata
«Avevo bisogno di incontrare gli amici perché mi ricordassero che… È il Signore». Ma questa è l’unica necessità che ha l’uomo, perché il cuore di ognuno è fatto esclusivamente per il Signore. Per quel motivo tutta la mia vita l’ho passata gridando, cercando quello che afferma il premio Nobel per la letteratura: «Signore sono stanco di elucubrazioni. Mostrami in qualunque parte del mondo un volto, trovando il quale io possa trovare Te». E il Signore mi ha sempre ascoltato, anche se per riconoscere questo Volto è stato necessario che facessi un lavoro personale, vivendo intensamente ogni giorno la realtà, e mendicando continuamente questa grazia, con l’intercessione della Vergine Maria. Il Signore mi ha sempre risposto, mostrandomi volti che non sono mai stati quelli che io pensavo sarebbero stati la cosa migliore per me.
Ultimamente penso spesso alla grazia di aver avuto qui padre Paolino che io nemmeno conoscevo. È stato per me un regalo inaspettato che nel tempo ha segnato la mia vita provocandomi ogni giorno con la sua vita a riconoscere: «È il Signore». Non solo. Dio ha anche usato la nostra compagnia per fare le “meraviglie” della carità che oggi esistono nella parrocchia. Per dieci anni abbiamo camminato gomito a gomito e un giorno, come un “fulmine a ciel sereno”, è stato allontanato da qua, lasciandomi “solo”. Sono rimasto profondamente ferito e anche un po’ arrabbiato con Dio. Tuttavia, anche in quel momento drammatico, il Signore non mi ha lasciato per lungo tempo senza la presenza di amici nel cui volto è evidente la grande Presenza del Mistero. Ricordo la commozione che suscitò nel mio cuore l’immediatezza con la quale Marcos e Cleuza si sono precipitati, nel senso letterale della parola, ad Asunción per stare al mio fianco, aiutandomi a non dimenticare che, se il Signore permetteva questa situazione, sarebbe stato per un bene più grande, per la mia conversione.
Cioè il Signore voleva educarmi alla gratuità, al distacco da tutto, a guardare alla realtà e alle persone con libertà, con la certezza che Dio, se permette una cosa, è per un bene più grande che si manifesterà nel tempo. Tutta la mia vita è stata una battaglia tra l’immagine che avevo, e che ancora ho, di relazione con la realtà e l’esperienza della gratuità che è pura grazia. Per quel motivo comprendo il tuo dolore e in modo particolare quello di tua figlia. Specialmente quando si è generosi e sensibili verso gli altri. Se la generosità non è trascinata dall’amore di Cristo si trasforma in un terribile ricatto, in una grande delusione. Avere un cuore generoso è una grazia, tuttavia se non lasciamo entrare Cristo come criterio delle nostre relazioni, la generosità si trasforma in rabbia. Io sono solito ripetere “grandi amori, grandi rancori”, “grandi simpatie, enormi antipatie”.
Le promesse non mantenute
Chi non ha detto, durante il suo primo innamoramento, alla propria moglie nel giorno del matrimonio le parole più belle, più espressive, più definitive che sono proprie del cuore, e dopo un certo tempo tutto si è trasformato nel contrario? Quante amicizie ho avuto, anche in America Latina, ma alla fine sono rimasti soltanto gli Zerbini! E gli altri? Chi per il gusto di un miserabile potere, chi perché confonde l’amicizia con la diplomazia, se ne sono andati per un’altra strada. Non solo, ma i problemi più gravi che ho avuto, fino alla denuncia davanti ad un tribunale civile, sono venuti da persone che vivevano con me. E quante persone che hanno trovato ogni tipo di aiuto nelle opere nate nella parrocchia, se ne sono andate sputando nel piatto dove avevano mangiato!
È quello che tutti sperimentiamo nella vita di ogni giorno e che ci fa soffrire. Tuttavia, tutto può diventare grazia affinché riconosciamo il Signore che vuole educarci alla gratuità in tutto. E cosa significa gratuità? Vivere, pensare e operare prendendo in tutto, come criterio, la tenera Presenza di Gesù. Educarci alla gratuità significa offrire in ogni momento a Gesù quello che siamo e quello che facciamo. «Signore Ti ringrazio» se le cose vanno “bene”, mentre se le cose vanno “male”, «Signore ti offro». Ripetere col cuore queste giaculatorie, per esempio, è stato ed è per me di grande sollievo, un grande respiro. Se non avessi chiara questa posizione, sarei disperato, perché ogni mattina aprendo gli occhi, il mio pensiero andrebbe immediatamente ai problemi che mi potrebbero creare le 177 persone che lavorano qui; ai drammi e ai dolori di ogni bambino, ogni anziano, ogni malato terminale.
Invece, quando inizio la mia giornata col pensiero chiaro che “Io sono Tu che mi fai” cambia totalmente la prospettiva. La settimana scorsa una persona mi ha denunciato in quanto responsabile della casetta di Betlemme, davanti ad una procura, per cose che, secondo lei, accadevano lì. Un’accusa assurda, irrazionale, senza fondamento alcuno, un’accusa che oggigiorno va molto di moda. Ma grazie a questa lenta e lunga educazione ad offrire tutto al Signore, ho sperimentato una letizia che mi ha permesso di dormire in pace e il giorno dopo presentarmi serenamente davanti al tribunale. Con un’ironia davanti alla realtà che prima mi era sconosciuta. E alla fine tutto si è risolto positivamente. Questo non significa che nella mia mente non possa passare la domanda: «Come, dopo aver speso la mia vita per queste persone fino ad ammalarmi, ora arrivano anche a calunniarmi?». Questa domanda è profondamente umana. Anche Gesù se la è posta, quando fu tradito da Giuda. Tuttavia non si è lasciato definire dalla cattiveria di Giuda, ma dal suo rapporto col Padre e questo gli ha permesso di chiamarlo “amico”.
Chiediamo la gratuità
L’esperienza della gratuità, cioè della libertà, è una grazia che bisogna chiedere continuamente. Il Signore ci forgia come l’artista che ha fatto le bellissime vetrate della chiesa di San Rafael. È nell’esperienza della gratuità che si diventa più teneri, più sensibili, e perciò si soffrirà molto di più di chi non vive di Cristo, perché Cristo dona la sua stessa tenerezza, la sua stessa sensibilità. Dentro un grande dolore, si gode dell’esperienza di amare una persona solo perché esiste. Quando guardo i miei figli, Aldo e Mario, nel loro letto di dolore, vivo una grande impotenza ma piena di tenerezza.
Quella tenerezza che mi permette di non fermarmi davanti a nessuna difficoltà o problema, ma di camminare e prendere a volte decisioni molto dolorose, come quella di dover licenziare due degli infermieri più qualificati. Non si vorrebbe mai arrivare a certe decisioni per le quali anche alcuni amici ti gettano in faccia mucchi di “perché”, senza capirne le ragioni. Ciò avviene perché non vivono la realtà. Tuttavia, dentro tutto il dolore che uno vive, la certezza che amore e verità camminano uniti ti permette, in una compagnia, di assumere la responsabilità di certe decisioni.
Allora, cara signora e figlia, la prima domanda che in questa situazione dovete porvi è: stiamo seguendo oggi il carisma di don Giussani? Cosa significa vivere oggi quello che ha sperimentato in Gs nel 1960? Se non accade oggi l’incontro con Gesù è inevitabile che il ricordo si trasformi in angoscia, in una sofferenza, e per di più senza senso, e non c’è cosa peggiore che un dolore senza significato.
Si vive solo per un fatto che accade ora, in questo momento. Infine, mi permetto di domandarle: il suo sguardo è ben centrato oggi nell’esperienza che don Julián Carrón ci propone e che permette a me, pur nella mia difficile condizione, di respirare e amare con sempre maggiore libertà? Oggi, come Giovanni 2000 anni fa quella notte sul lago, mi permetto di gridare: “È il Signore”, vivo, presente qui ed ora. Nel carisma che Dio ci dà la grazia di poter seguire oggi, la Presenza viva del Mistero il carisma diventa presente.
Articolo tratto da www.tempi.it
per gentile concessione della redazione (7-7-2023).
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