Il Pianto di Chiara (dai Fioretti di Santa Chiara)

Giotto, Public domain, attraverso Wikimedia Commons

Quando le visite dei padri spirituali diradavano e nella chiesetta non risonava la lezione del maestro, Chiara ricorreva al Maestro dei maestri e al Signore delle anime.

Si poneva dinanzi al Crocifisso e meditava i cinque discorsi delle piaghe sanguinolente. Anche in questo seguiva fedelmente l’esempio di Francesco. Pareva sapesse già, per miracoloso avvertimento, che quelle piaghe si sarebbero impresse nel corpo del suo maestro terreno e che sarebbero diventate il sigillo del francescanesimo.

La passione di Gesù era il testo nel quale Chiara continuamente leggeva e rileggeva la lezione della santità.

Anche quando lavorava, anche quando mangiava, aveva dinanzi a sé l’immagine di Cristo paziente, cioè che pativa. Si richiamava alla mente tutti i tormenti della vittima divina, soffrendo con Cristo serenamente e volontariamente.

Specie la sera, tra l’ora di sesta e l’ora di nona, la sua partecipazione alla passione di Gesù si faceva più acuta e dolorosa. Era l’ora nella quale Gesù morì sulla croce.

L’aria trascolorava sugli olivi di San Damiano, i rumori s’attutivano nel recinto del convento, e nel silenzio di viola, Chiara sentiva scendere nell’anima una segreta voglia di piangere sulla reclina testa del Redentore.

Allora inaspriva le sue penitenze, si stringeva sui fianchi il cilicio setoloso e dava libero sfogo alla sua commossa pietà.

“Li suoi occhi — scrive il primo biografo — parevano due vene di acqua”. Piangeva dinanzi al Crocifisso, e “tutto il viso e il petto le si bagnava di lacrime”.

I suoi bellissimi occhi s’arrossavano.

A poco a poco le lacrime le scavarono due solchi lungo le gote.

Di ciò colse l’occasione il tentatore, che credeva di trovare in Chiara ancora un resto di femminile vanità.

Le apparve sotto forma d’un fanciullo e con melliflua voce le disse:

— Perché piangi tanto? Vedi, i tuoi occhi si guastano e presto diventerai cieca.

Ma Chiara rispose:

— Non potrà mai diventar cieco chi ha Dio nell’anima.

Piangeva anche di notte, con la testa appoggiata al tronco di legno che si bagnava di lacrime e la mattina appariva scuro come fosse restato fuori alla pioggia.

Anche allora il tentatore non la lasciava, e nel buio del dormitorio le andava sussurrando:

— Perché piangi tanto? Tu farai sì, che il cervello ti si corromperà e ti uscirà dal naso. Tutto il tuo volto sarà distrutto e la tua mente verrà a mancare.

Chiara rispondeva a quella insinuante voce:

— Io piangerò sempre la passione del mio Signore e il cervello non si corromperà, né la mente verrà meno, se la Grazia del mio Signore e Creatore mi assisterà nel dolore e nel pianto.

Il pianto infatti era come un lavaggio benefico sulla sua anima mantenuta pura dalla Grazia. E sul volto, che era stato bello per virtù naturale, appariva sempre di più e sempre più luminosamente la serena compostezza della beltà soprannaturale.

Chiara piangeva, ma tra le lacrime brillava, come alcune volte fa il sole tra la pioggia di primavera, la sua anima innamorata di Gesù.

Nel vedere che a nulla approdavano le sottili seduzioni, il maligno ricorse allora alla violenza materiale.

Un giorno che Chiara piangeva sulle piaghe del Redentore, la colpì con un fortissimo ceffone. Piangesse almeno, non di pietà, ma pel dolore fisico!

Il ceffone fu così violento che dagli occhi, dal naso e dalla bocca di Chiara uscì sangue, mischiato a siero.

Ma, contrariamente alle previsioni del maligno, invece di piangere più forte per il dolore provato, Chiara sorrise di gioia.

Era contenta di ricevere un’offesa materiale e di soffrire una pena corporale che le veniva direttamente dal nemico della sua anima.

Fonte: I fioretti di Santa Chiara

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