La Difesa della Povertà (dai Fioretti di Santa Chiara)

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Clarisse itineranti, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

Il Papa è ad Assisi. È ad Assisi, per proclamare a tutta la cristianità che Francesco, figlio di Pietro Bernardone, è Santo.

Siamo nel 1228. Non son passati che due anni da quando, disteso sulla nuda terra, il perfetto povero è spirato alla Porziuncola. E son bastati due anni per aprire e per chiudere il suo processo di beatificazione. La Chiesa non ha avuto bisogno di molto tempo per stabilire, in maniera infallibile, la santità di Francesco.

E meno ancora ne ha avuto bisogno il popolo, che ha subito venerato Francesco, portando il suo corpo, “frate asino”, in città, nella chiesetta di San Giorgio. Su quel corpo c’erano già i sigilli della santità, impressi da Gesù; le cinque piaghe delle mani, dei piedi e del costato; le cosiddette stimmate.

Ora il papa Gregorio IX era venuto apposta, per confermare con la sua autorità quei sigilli miracolosi e per innalzare il povero, giullare di Dio, scalzo, macero, ferito, alla gloria degli altari. Gregorio IX era sommo pontefice soltanto da un anno. Prima dell’elezione era Cardinale, il Cardinale Ugolino, della famiglia degli Orsini.

Da Cardinale aveva conosciuto Francesco; l’aveva anzi aiutato alla compilazione e all’approvazione della Regola. Sapeva dunque tutto di lui. E sapeva tutto anche di Chiara e delle sue “povere donne”.

Volle visitare San Damiano. Volle vedere quali fossero nella vita pratica gli effetti di quella Regola di povertà che aveva a lungo discusso con Francesco.

A Roma le domande di Francesco e di Chiara erano sembrate sempre molto ardite. Mentre tanta gente chiedeva privilegi e favori, Francesco e Chiara non chiedevano che di vivere in povertà.

Quando gli venne sottoposta la domanda di Chiara, che chiedeva per sé e per le sue “povere donne” il permesso di non possedere nulla e di campare d’elemosina, il Papa d’allora, Innocenzo III, aveva esclamato:

— Non fu mai domandato alla Sede Apostolica un siffatto privilegio, di vivere in tanta povertà.

E ora un altro Papa, Gregorio IX, scendeva tra gli olivi, fuor dalla porta d’Assisi, per andare a vedere personalmente come si potesse vivere in quella povertà.

Scende per la ripida stradicciola, seguito da Cardinali, da Prelati e da Cavalieri; bussa al conventino cinto di mura senza intonaco.

Il Papa può toglier la clausura in ogni momento, e passa dentro, in mezzo alle “povere donne” inginocchiate.

Chiara gli fa da guida. Questa è la chiesina restaurata da Francesco con le proprie mani; questo è il coro, con la grata che fu tolta perché le “povere donne” potessero baciare le stimmate del Santo. Questo è il chiostro col pozzo; questo è il refettorio; questa, al piano di sopra, è l’infermeria, e questo è il dormitorio. In ultimo, l’orto grande come un fazzoletto.

Gregorio IX guarda e medita. Vede i sedili del coro di legno rozzo, vede le tavole grosse del refettorio, i sacconi di sarmenti, i guanciali di legno. Osserva le vesti pulite, ma piene di rammendi rattoppi, i piedi nudi, le mani deformate. Misura l’orto dove non crescono che due cespugli di ramerino e pochi rametti di salvia.

Come si può vivere in questo stato di povertà? E di dove vien il sostentamento delle “povere donne”? Tutti i monasteri e i conventi hanno sempre avuto campi e poderi per le rendite necessarie alla vita delle religiose.

A San Damiano, invece, oltre al muro della clausura, le “povere donne” non hanno nessuna proprietà.

— Come potete vivere?

— D’elemosina, Santo Padre.

— Ma se vengono tempi forti, guerre, carestie, chi vi potrà sostentare?

— La Provvidenza, Beato Padre.

— La vostra Regola è troppo stretta. Madre Chiesa non può permettere che le sue figlie predilette abbiano ad essere esposte al bisogno, senza nessuna difesa.

— La nostra difesa è Cristo crocifisso e il suo Vicario in terra.

Gregorio IX fissa il volto intrepido di Chiara. Pare che voglia scrutare un suo segreto pensiero.

Le dice lentamente, per dare alla donna forte il tempo di riflettere:

— Figliola, se temi del voto già fatto della santa povertà, io te ne posso sciogliere. Tu sai che Gesù ha dato al suo Vicario il potere di sciogliere e di legare. E quello che egli scioglie in terra è sciolto anche in cielo.

Cardinali e Prelati annuiscono. Essi trovano molto saggio il discorso del Papa. È opportuno render la Regola più blanda.

I Cavalieri del seguito si rasserenano. Lo spettacolo dell’estrema povertà li ha turbati. È necessario mitigare le asprezze di queste donne.

Chiara impallidisce alle parole del Papa come dinanzi a una minaccia. Gli occhi le si empiono di lacrime, come avesse ricevuto una punizione.

Cade in ginocchio dinanzi al Papa, e con voce strozzata dalla commozione, implora:

— Padre Santo, io non temo per il voto che ho fatto. So bene che Voi me ne potete sciogliere e assolvere.

Fa una pausa, poi con voce più ferma prosegue:

— Padre Santo, dai miei peccati assolvetemi, dalle mie colpe scioglietemi, ma non dal privilegio della santa povertà dalla quale non voglio esser sciolta in eterno.

E tutte le “povere donne”, fedeli all’insegnamento di Francesco, sono d’accordo con Chiara. Chiedono al Vicario di Cristo l’assoluzione dei loro peccati e la conferma dei loro voti di povertà.

Fonte: I fioretti di Santa Chiara

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