
Chiara era sui diciott’anni. Francesco sui trenta.
Chiara usciva da una famiglia nobile. Francesco era uscito da una famiglia di mercanti.
Ad Assisi le famiglie nobili si potevano contare sulle dita d’una mano. C’erano i Compagnani, i Tibaldi, i Corani, i Ghislerio, i Fiumi, dai quali usciva Madonna Ortolana, la madre di Chiara.
Per il padre s’è fatto a lungo il nome degli Scifi, ma si sa soltanto che si chiamava Favarone di Offreduzzo. Era morto, lasciando a casa cinque donne: la moglie Ortolana; le figlie Penenda, Chiara, Agnese, Beatrice, tutte nubili e quasi tutte in età da marito.
A quei tempi le donne andavano a nozze quasi bambine. Qualcuno brontolava: « Le maritano nella culla.
Non aveva torto, perché si davano casi di fanciulle spose a dodici anni, a quattordici e a sedici.
Dopo i sedici anni, le madri sollecite cominciavano a temere per la sorte delle loro figliole. Sembravano già zitelle.
Di solito non erano le fanciulle a scegliersi lo sposo. Ci pensavano i parenti a «prometterle», non al fidanzato, ma ai parenti del fidanzato. Qualcuna veniva promessa davvero quand’era in culla e più d’un fidanzamento venne stretto e festeggiato quando la promessa sposa non aveva che quattro anni!
I parenti, nell’asortire le coppie dei fidanzati, tenevano conto delle condizioni delle famiglie ; consideravano l’onore del parentato, la ricchezza della casa, la nobiltà del sangue.
Si cercava di far nascere l’amore, parlando bene del giovane alla giovane e viceversa, facendoli incontrare nelle feste della città. E l’amore, sollecitato, di solito scaturiva felicemente, come divampa il fuoco abilmente attizzato.
Più volte anche a Chiara avevano parlato dei giovani nobili della città, ma la fanciulla aveva lasciato sempre cadere il discorso.
Chiedeva piuttosto notizie di quello strano tipo che suscitava tanto scandalo nella classe de, mercanti.
I mercanti appartenevano ad altro ceto di quello dei nobili. Di solito erano uomini di bassa nascita, intelligenti, intraprendenti; molto spesso spregiudicati.
La loro fortuna era dovuta ai traffici. Invece di rimanere a parlottare sullo sporto delle loro botteghe artigiane, costoro avevano affrontato i rischi di viaggi malsicuri, per comprare e per vendere in lontani mercati, oltre le mura della città, oltre i confini del Comune, oltre i limiti della regione, oltre anche i monti, fin nella Francia e nella Fiandra.
C’era il pericolo di tornare coi basti scarichi e anche di non tornare mai, perché i briganti assalivano le carovane dei muli. Ma se l’impresa andava bene, di colpo, la fortuna era fatta e quegli uomini avventurati prendevano il nome di « grandi mercanti ».
Uno di essi era stato Pietro di Bernardone, che aveva ribattezzato il figlio Giovanni col nome di Francesco, cioè « francese », in ricordo dei suoi fortunati viaggi sui mercati della Francia.
I nobili d’Assisi da prima avevano guardato dall’alto in basso i mercanti arricchiti. Poi il luccichio dell’oro aveva fatto impallidire anche i blasoni nobiliari. Francesco, per esempio, era stato accolto nelle brigate dei giovani nobili, quasi a pari, fino al giorno nel quale il figlio del mercante non aveva preferito la compania dei lebbrosi a quella dei gentiluomini.
Tutta Assisi parlava delle stravaganze di Francesco. Chiara era commossa. Aveva voluto sapere di lui, della sua vita.
Aveva anche cercato d’incontrarlo, uscendo dalla città, accompagnata da un’altra compagna, Bona di Guelfuccio. Aveva parlato con lui, mentre tutti lo sfuggivano.
Francesco, fissando la fanciulla chiara come una stella, le aveva detto: – Bisogna saper morire
– Come? – domandò Chiara. – Sulla croce, con Cristo.
E quando, la Domenica delle Palme cominciò la Passione di Gesù, Chiara, fin dal mattino, fra gli “Osanna” della liturgia, aveva deciso di morire come le aveva consigliato. Francesco.
dai Fioretti di Santa Chiara