Caro padre Aldo, vorrei condividere con te alcune circostanze che ho vissuto di recente.
Ultimamente, con il lavoro di scuola di comunità, mi sto accorgendo sempre più che tendo a mettere tra parentesi i momenti in cui riconosco Cristo presente nella mia vita: cioè Lo riconosco ma poi mi fermo soltanto al “Che bello!”, che non è un vero giudizio. E questo non mi basta per niente. Infatti, nei momenti in cui faccio più fatica ripiombo nel nulla e mi faccio definire da quello. Ci sono tanti rapporti che non sono affatto scontati: amici che mi stanno aiutando tantissimo e che non mi lasciano mai sola. Due compagne di corso da più di un mese si stanno fermando a studiare con me in università, anche se abbiamo esami diversi da preparare. Mi stupiscono tantissimo, fanno i salti mortali pur di stare con me, perché dicono che a casa non riuscirebbero a farlo con la serietà dovuta…
In realtà lo so che si fermano perché ci sono io, e così ci facciamo compagnia. Ogni volta si stupiscono della quantità di amici che ho. Una di loro, un giorno, ha voluto visitare il luogo dove dicevamo “l’angelus”, perché le sembrava incredibile che una cinquantina di persone si trovasse ogni giorno a recitare questa preghiera all’ora di pranzo. Venerdì scorso l’ho chiamata dopo un esame, per sapere dov’era e raggiungerla. Mi ha risposto che sapendo del mio esame era rimasta a casa. Incredibile… Quando penso di non valere niente e di essere una buona a nulla ci sono queste persone per le quali, almeno un pochino, valgo qualcosa.
Mercoledì scorso stavo studiando un libro di Umberto Galimberti per un esame imminente. Si chiama Un ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani. In questo testo ci si chiede quali siano le cause di certi comportamenti, espressione del cosiddetto “disagio giovanile”, che arrivano perfino al delitto efferato senza movente. Descrive in maniera impressionante tutti i sintomi di questa società malata, che non ha più fondamenta su cui poggiare. Più leggevo, più stavo male, perché descriveva esattamente il mio disagio. E quando ho letto il capitolo in cui parla della depressione, ho capito che stava parlando di me. Era il mio compleanno e tutti venivano a farmi gli auguri, dovevo sentirmi voluta bene, eppure non è prevalsa la gioia e la gratitudine, ma l’ombra (chiamo così la mia depressione). Ho un disperato bisogno di leggerezza, ultimamente.
La mia psicoterapeuta non ha mai voluto dare un nome al mio disagio, e quando timidamente tiravo fuori l’argomento, lei elencava alcuni sintomi che ritenevo di non avere. Forse per dissuadermi dal mettere “etichette”. Il giorno dopo le ho letto quelle cose che mi “descrivevano”, come per dirle: «Sono depressa». Ho capito che voleva che ci arrivassi da sola, perché se fosse stata una sua diagnosi, forse l’avrei presa come un’etichetta e non come uno sprone per tirarmene fuori!
Non so come questa coscienza possa essermi d’aiuto. Io quel nulla ce l’ho in faccia tutti i giorni, e mi fa piangere, mi toglie la voglia di vivere. Il nulla è la mia coscienza di essere un “niente” e di non avere nessun futuro perché quello che sto studiando e che mi piace per tanti motivi non sarà il lavoro che farò. Il nulla è, paradossalmente, la coscienza di avere una grande intelligenza (così mi dicono) e di non sapere che farsene. A volte odio la mia intelligenza soprattutto perché mi rende troppo consapevole della realtà, e così soffro ancora di più. È un dono sprecato. Sto forse bestemmiando? È ingiusto nei confronti di chi mi ha fatto questo dono? Io vorrei solo non soffrire così tanto, certe volte vorrei solo scomparire.
«Donami la Tua forza»
Forse, come mi hai scritto una volta, devo avere pazienza, perché sono cose che si risolvono col tempo. Quando mi sveglio la mattina, le volte in cui sono più cosciente, chiedo a Dio di darmi la forza di affrontare un’altra giornata con il Suo dolore, con la Sua forza, perché da sola non ce la faccio. Credo di avere un briciolo di coscienza in più da quando ho cominciato la terapia: non sto lottando da sola! Le persone a me più care a volte non capiscono i momenti in cui predomina il “male di vivere” e rimangono sgomente a certe mie affermazioni (o provocazioni) in cui faccio vedere di non nutrire alcuna speranza. Ma non mi lasciano mai ed è questa, per me, la contemporaneità di Cristo: sono queste persone concrete, questi amici, che non mi lasciano mai sola a crogiolarmi nella disperazione.
Rosaria
Carissima, la contemporaneità di Cristo è Cristo stesso a dirci in cosa consiste: «Dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro». Ed è quello che tu affermi parlando dei tuoi amici che non ti lasciano mai sola. Questa gratuità dei tuoi amici è la grazia più bella che hai, perché l’origine della liberazione è questa amicizia, questa gratuità che solo Gesù ci permette di vivere. Tu stessa riconosci che hai un briciolo di coscienza in più rispetto all’anno scorso. «Da sola io non ce la faccio!».
E chi ce la farebbe? Papa Francesco ci sta parlando continuamente di amore, di carità, di tenerezza perché cosciente che l’uomo respira e vive solo dentro un abbraccio pieno di fraternità. Ma questo è il cristianesimo, è la bellezza dell’Avvenimento cristiano, è ciò per cui uno ne rimane affascinato. Incontrare degli amici che ti vogliono così bene è l’unica autentica terapia, la sola veramente umana che permette all’io di rinascere. Per questo motivo il servo di Dio don Luigi Giussani ha chiamato il movimento da lui creato con il bellissimo nome di Comunione e Liberazione. L’uomo, qualsiasi uomo a qualunque latitudine viva, cerca questa liberazione dentro di sé; desidera, vuole essere se stesso, vuole diventare protagonista della sua vita e della storia. Però tutto questo è possibile solo dentro una Comunione, un’appartenenza, come un bimbo che diventa grande fra le braccia dei genitori.
Ripensando alla mia vita e alla disperazione, alla non voglia di vivere che ebbe il suo inizio 25 anni fa, mi viene in mente il giorno e l’ora in cui il Mistero, la Madonna, hanno posto nel mio cuore l’inizio di una speranza. Era il 25 marzo 1989. Quel giorno sono venuto a Milano portando con me tutta la mia disperazione e la rabbia che covavo contro Dio. Don Giussani mi ha semplicemente ascoltato e mi ha detto: «Adesso finalmente diventerai adulto» e poi mi ha abbracciato. Ero talmente sconvolto da questo abbraccio che salvava tutto, che gli ho chiesto di benedirmi ponendomi in ginocchio. Ma lui mi ha fatto rialzare: «No, sono io che voglio essere benedetto da te». E si è inginocchiato davanti a un misero peccatore. Da quel giorno ho trovato le energie per lottare fino al punto di partire per il Paraguay. Era la prima volta che sperimentavo che cos’era la gratuità, cioè la contemporaneità di Cristo. Era la prima volta che mi sentivo voluto bene com’ero.
La mancanza di tenerezza
«Padre Aldo ha tanti doni, ma…». «Ha fatto tante cose, ma…» Questo è il modo normale di parlare, è la reazione tipica della moglie rispetto al marito o viceversa, dei genitori verso i figli. C’è sempre un “ma” nelle relazioni. Recentemente mi diceva un’amica che in un incontro si discuteva di alcune persone assenti. Tutti ne parlavano bene, però a un certo momento è entrato in gioco il “ma” e questo ha modificato una positività in negatività. Per cui davvero la gratuità è solo divina e il luogo dove questo diviene un fatto normale è la Confessione: solo lì un uomo ti dice, senza nessun “ma”, «io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».
La confessione è l’origine della possibilità di amarsi come siamo e di amare gli altri come sono senza aggiungere nessun “ma”, nessun “se”, nessun “però”. È questa contemporaneità di Cristo il cammino della salute. Certo è un cammino lungo ma te lo posso garantire, perché lo vedo in me, è realmente il cammino della salvezza, cioè della pace. Riconoscere quella compagnia che Gesù ti dona è l’unica grazia che devi chiedere alla Madonna. Non dimenticare mai il perché don Giussani ci ha chiamato con il bellissimo nome di “Comunione e Liberazione”. Questa è l’unica, vera e oggettiva terapia.
Cesare Pavese diceva che l’origine della violenza, di qualunque violenza (cominciando da se stessi) è la mancanza di tenerezza. Allora come ci ripete continuamente papa Francesco, la salvezza, la salute consistono nel riconoscere l’infinita misericordia di Dio. Lui ci ama senza i “se” e senza i “ma”, ci ama così come siamo. Continua ad appartenere a quegli amici nella pazienza del tempo: è la tua salvezza, perché appartieni alla morte e risurrezione di Gesù.
Don Aldo Trento – Tempi
Articolo tratto da www.tempi.it
per gentile concessione della redazione (7-7-2023).
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