Le “prediche” e le teorie non servono per educare. Padre Paramas, gesuita delle Riduzioni, nel suo libro La repubblica di Platone e i Guaraní afferma che questo paese non si è sviluppato attraverso teorie astratte e teoriche bensì per “imitazione”. Cioè, guardare alla realtà obbedendole. Questo processo di cambiamento è avvenuto seguendo una persona che sapeva mostrare e realizzare davanti ai loro occhi stupiti, qualcosa di interessante, di affascinante, “imitandola”. Durante questi anni in Paraguay ho potuto constatarlo nella mia esperienza di ogni giorno, a livello teorico e pratico. A livello teorico ecco cosa accade: se pongo una domanda a un mio ragazzo, lui mi risponde sempre con un esempio esplicito.
A livello pratico: se io voglio educarlo a pulire il pavimento è sufficiente che afferri una scopa e la persona che mi vede dice: «Padre, per favore, lasci stare, faccio io». Se un prete non capisce che è questo il metodo e non lo pratica, le sue omelie sono puro “flatus vocis”, cioè una perdita di tempo. Lo documentano le migliaia di esortazioni e richiami che negli anni scorsi abbiamo ascoltato a Caacupé contro la corruzione. Quale è stato l’esito? Hanno cambiato qualcosa concretamente nella vita? Assolutamente no. Invece questa modalità che i padri gesuiti avevano percepito già alcuni secoli fa, personalmente l’ho trovata molto interessante, sia dal punto di vista delle relazioni che da quello pedagogico.
Dal punto di vista delle relazioni. Alcuni giorni fa ho avuto una discussione con un amico che riguardava il luogo più idoneo dove sistemare la spazzatura. Gli ho detto: «Perché invece di creare nuovi depositi, non mettiamo i sacchi della spazzatura proprio lì, dove passano i camion della municipalità? Così facendo verifichiamo se davvero li portano via oppure li lasciano lì e poi decidiamo come comportarci». Il giorno dopo incontro il nostro giardiniere che aveva appunto questo problema: «Padre, che faccio con le foglie degli alberi che ho raccolto?». «Amico, una cosa molto semplice: portali sul marciapiede dove passa il netturbino ogni martedì, giovedì e sabato». E lui ha eseguito. La domenica mattina, quando mi sono alzato, i sacchi non c’erano più. Un miracolo? No, semplicemente quelli della municipalità avevano fatto il loro dovere.
Dal punto di vista pedagogico. Questa è una questione molto interessante non solo per i bambini ma anche per gli adulti. Quando ho visto questa modalità di procedere nei miei parrocchiani, ho cominciato a cambiare il modo di fare la predica alla Messa dei bambini della domenica mattina. Invece della solita “minestra” lunga e teorica di prima, ho cominciato, partendo della liturgia, a mostrare come la fede avesse concretamente a che vedere con la vita. In maniera molto semplice. Una domenica ho portato in chiesa, davanti all’altare, un letto. Ho chiesto ai bambini: «Quanti di voi qui presenti rimettono in ordine il letto alla mattina?». Poche mani si sono alzate, soprattutto quelle delle bambine. Così da quella mattina ho iniziato a spiegar loro l’importanza che ha il letto, mostrando come si prepara, perché c’è il materasso, le due lenzuola, e la coperta che si usa quando fa freddo; infine ho spiegato anche il valore della trapunta come copriletto. La domenica seguente, dopo aver brevemente commentato la liturgia eucaristica, ho fatto la verifica chiedendo ai bambini di mostrarmi di aver capito e praticato quello che avevo insegnato loro. La sorpresa fu grande perché tutti erano riusciti a fare quello che esattamente avevano visto. Alla fine del mese tutti i bambini, sia maschi sia femmine, avevano imparato l’importanza e il valore di rifare il letto e di sistemarlo come si deve.
La catechesi attuata con questo metodo l’ho applicata fino a quando ho avuto il ruolo di parroco e i risultati sono ancor oggi ben visibili, non solo nella bellezza della parrocchia e in generale di tutta la fondazione San Rafael, ma anche nelle famiglie che hanno condiviso questa strada educativa. Tutto quello che esiste nella nostra realtà parrocchiale, lo abbiamo realizzato insieme, io con i parrocchiani. Ma senza testimoniare con l’esempio, tutto questo non sarebbe stato possibile. Se la fede non mostra la sua capacità educativa di cambiare la vita, a cosa serve? Se un sacerdote non trasforma il suo sermone in catechesi di vita, a che servono le sue parole?
Che bello quando nella parrocchia si fa una festa che termina molto tardi e il giorno dopo non ti rendi neanche conto che c’è stata, perché prima di andare a letto gli amici hanno messo ogni cosa in ordine! O anche osservare durante tutto il corso della giornata lo spettacolo della pulizia dei pavimenti: non ci sono carte o sigarette per terra. Tuttavia, senza una posizione educativa chiara, paziente e continua da parte dei sacerdoti e dei parrocchiani, tutto questo non sarebbe avvenuto.
Un ultimo esempio. Ogni anno i bambini della nostra scuola (quest’anno sono 300) fanno una gita. Questo è l’ottavo anno che viene organizzata ed è inevitabile il ripetersi dello stesso luogo e dello stesso hotel. Ci colpisce che alla fine della piccola vacanza, quando stiamo per lasciare l’hotel, i camerieri rivolgendosi alla nostra direttrice esclamino: «Si vede subito quando abbiamo come ospiti ragazzi del San Rafael, perché lasciano tutto ben ordinato. Non solo, ma non hanno mai creato nessun problema durante la loro permanenza». Il primato del “gesto” rispetto alla “parola” implica l’esempio dell’educatore. Un gesto è educativo quando nell’adulto la parola e l’azione camminano insieme. Per questo motivo si chiama “gesto”. Il suo contrario è solo la confusione. La realtà della Chiesa esiste per mostrare a tutti la bellezza della fede che rende umana la vita.
Il Servo di Dio, don Luigi Giussani nel suo libro Il rischio educativo afferma che l’educazione è l’introduzione del bambino alla conoscenza della realtà nella totalità dei suoi fattori. Ricordo che quando sono arrivato in Paraguay mi sono spaventato vedendo il disordine che regnava ovunque, tanto nel mondo civile quanto in quello ecclesiastico. Trovare una chiesa o una casa sporca era la normalità. Davanti a questa situazione mi sono domandato cosa significasse educare, come fare a introdurre il bambino alla conoscenza della realtà nella sua totalità. Gli anni vissuti con don Giussani avevano trasformato il mio modo di vivere tutto. Ricordo che un giorno il famoso pittore brasiliano Claudio Pastro mi raccontò questo aneddoto: «Ero a San Paolo dove ho un’amica direttrice di una grande scuola per bambine. Era disperata perché la scuola non riusciva a offrire e a proporre nessuna esperienza educativa valida. Così mi ha chiesto aiuto e le ho risposto: “Sorella, il problema è semplice, al 50 per cento ci posso pensare io l’altra parte dipende dai professori. Io posso ristrutturare completamente l’edificio scolastico affinché sia bello e accogliente. Voi dovrete offrire una proposta di vita piena di significato e di fascino”. Dopo alcuni anni la direttrice della scuola mi ha detto: “Professore, aveva ragione, ora sì che stiamo educando davvero, i ragazzi sono cambiati completamente”».
Oggi, ciò che caratterizza quell’opera è l’imponenza e la bellezza della struttura. Un fattore che trascina i ragazzi, ovviamente sempre accompagnati dall’entusiasmo dei professori. Come si potrebbe iniziare a educare in una favela dove non c’è nemmeno un bagno decente? Solo offrendo qualcosa di bello i ragazzi imparano. E si comincia sempre dalle cose più piccole ed umili (come un bagno) per poi arrivare alle questioni più grandi.
Articolo tratto da www.tempi.it
per gentile concessione della redazione (7-7-2023).
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