Santa Maria degli Angeli si chiamava così, perché si diceva che quattro pellegrini vi avessero udito i canti degli Angeli.
Sorgeva dentro un bosco, ai piedi di Assisi, ed era una chiesina piccola, ritrovo dei primi compagni di Francesco.
Tutto l’insieme, bosco e chiesina, formava una piccola particella, di proprietà dell’abate benedettino del Subasio. Perciò si chiamava Porziuncola, al confronto dei grandi terreni appartenenti alla Abbazia che i monaci benedettini avevano rimboschito e bonificato.
Francesco aveva restaurato con le proprie mani la chiesetta malandata, e, coi compagni, vi aveva costruito attorno alcune capanne di frasche, all’ombra del bosco.
Pagava in affitto ogni anno ai benedettini, un canestrello di pesci, pescati nel vicino torrente Tescio.
Di giorno, quando Francesco e i suoi compagni se ne andavano a predicare e a lavorare, Santa Maria degli Angeli restava deserta.
Di notte veniva illuminata con rami di pino accesi e risonava di lodi a Maria.
E ancor più illuminata era la notte di quella domenica, quando Chiara, accompagnata da Pacifica di Guelfuccio, scese da Assisi verso la Porziuncola.
L’attendevano, sul limitare del bosco, Filippo e Bernardo, con fiaccole accese. Vestite ancora coi panni della festa, precedute dai due frati silenziosi, le fanciulle s’inoltrarono nel folto.
I pruni trattenevano le lunghe sottane a strascico, e pareva che invisibili mani cercassero d’impedire il loro cammino attraverso il bosco.
Qualche uccello notturno, spaventato dalle fiaccole, sfiorava il velo scomposto sulla fronte delle due fuggitive.
Sulla porta della chiesina, Francesco, col viso scavato dall’ombra, gli occhi bruciati dalla veglia e dal fumo della resina, fissò Chiara, che gli si inginocchiava dinanzi.
Alle sue spalle s’accalcavano altri uomini incappucciati e barbuti.
A un estraneo sarebbe parsa una scena brigantesca. Egli avrebbe creduto che le due fanciulle fossero cadute in un covo di predatori. Infatti mani apparentemente rapaci tolsero a Chiara gioielli e ornamenti preziosi. Là spogliarono della sopravveste di broccatello. Le sfilarono le scarpette di raso. La rivestirono di una sottana grossa. La legarono alla vita con una corda e capestro.
Così avvinta e a piedi nudi, venne introdotta nella bassa chiesina ogivale. Fasci di ginestre fiorite adornavano Santa Maria degli Angeli, ma tutto quell’oro silvestre veniva incupito dalla luce rossastra delle fiaccole e dal fumo che emanava la resina ardente.
La condussero ai piedi dell’altare, in ginocchio, come una condannata nel capo.
Francesco tolse una lama. L’avvicinò all’esile collo di Chiara. Tagliò deciso.
Le trecce della fanciulla, più d’oro che le ginestre, caddero sullo scalino dell’altare. Francesco gettò sopra il capo devastato un panno nero di ruvida fattura.
E mentre si compiva lo scempio di tanta mondana bellezza, gli uomini dalle ispide teste, dai ruvidi sai e dalle voci aspre, cantavano forte l’officio dei morti per la fanciulla predata al mondo e presa in ostaggio del Paradiso.
dai Fioretti di Santa Chiara