Prostituzione al chiuso: Chi è coinvolto?

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Donne, di oltre 40 diverse nazionalità e transessuali, queste ultime soprattutto italiane e sudamericane. Al chiuso ci sono loro.
Secondo la stima di Carchedi e Tola sarebbero tra le 11.900 e le 15.500. Più al Nord che al Sud. Dai dati emersi dal convegno di Torino del 24 febbraio 2010 organizzato dal Gruppo Abele, tante altre sfumature si sono aggiunte, a partire dall’analisi delle molte realtà che in Italia hanno lavorato in questi anni sul fenomeno della prostituzione al chiuso, raccogliendo annunci, frequentando siti, telefonando e incontrando le persone, sia presso gli sportelli di accoglienza che andando direttamente a trovarle a casa. Ne è emerso un quadro che cerchiamo di riassumere nelle sue tante sfumature.
Se autonome e non sfruttate sono regolari, con permesso di soggiorno, ottenuto in molti casi con matrimoni combinati, che sarebbe più corretto definire comprati.
Le nazionalità possono essere divise in tre grandi gruppi: le persone Centro-Sudamericane, provenienti da Cuba, Brasile, Colombia, Venezuela e Repubblica Dominicana; persone provenienti dai Paesi dell’Est: Romania in testa, donne adulte e ragazzine senza famiglia intercettate per lo più in uscita dagli istituti; Russia, Bulgaria, Moldavia, Slovenia, Repubblica Ceca, Albania, Serbia, Ucraina, Ungheria e le persone asiatiche provenienti da Thailandia, Cina e Giappone. A parte le donne dell’Est, la presenza al chiuso non corrisponde per nulla alla percentuale e alle nazionalità presenti in strada. Le donne nigeriane, ad esempio, presenti su strada in molti territori in percentuale predominante e in percentuale significativa ovunque, al chiuso sono presenti con poche unità, solo in alcune zone del nostro Paese (nord ovest). A differenza delle altre, più multimediali nel modo di proporsi, si pubblicizzano in modo artigianale, col passaparola e via cellulare. Le donne provenienti dalla Cina, invece, sono presenti al chiuso in modo massiccio, mentre solo poche vedette-pioniere coloro che attualmente si vedono in strada.
Per le italiane il discorso è diverso. La maggior parte di loro sono “autonome” e si gestiscono. Pagano alcuni servizi che fanno da corredo al “lavoro” svolto un po’ di più del prezzo di mercato come, ad esempio, l’affitto. Una piccola parte di loro, a cui si aggiungono alcune persone transessuali italiane, operate e non, pressoché sempre dimenticate nelle politiche di aiuto e inclusione, sono sfruttate con forme che ricordano il protettore di un tempo, il magnaccia-mantenuto che porta la donna in strada, la va a riprendere con un regalo e magari la porta fuori a cena, coi soldi che lei a guadagnato sulla strada. Si tratta per lo più di donne con pochi strumenti, bassa scolarità, supporto familiare poco o nullo e tanta solitudine. In alcuni casi persone con lievi disabilità fisiche e/o psichiche. Per le transessuali, invece, l’uomo rappresenta una parvenza di normalità da esibire e un modo per non sentirsi completamente sole in balìa delle richieste di clienti che credono di poter chiedere loro di tutto, senza limite alcuno.

Riguardo la fascia d’età questa varia molto: da 25 a 45 anni la media, con punte che arrivano alla minore età e ai 55 anni. Le minori vengono proposte ai clienti in strada, da donne maggiorenni che chiedono loro se vogliono la “bambolina”, tenuta al chiuso, “protetta” da possibili intercettazioni delle unità di strada e/o delle Forze di Polizia che rappresenterebbero azioni di disturbo e/o di repressione per gli sfruttatori. Le nazionalità dove le donne sono più giovani sono quelle rumena e cinese. Le prime gestite da albanesi e rumeni, le seconde da connazionali.

Di Mirta Da Pra Pocchiesa, giornalista e responsabile del Progetto prostituzione e tratta del Gruppo Abele.

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