L’amore di Santa Caterina da Siena per i peggiori peccatori

Sailko, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons

E se dovessi, in mancanza d’altro, accontentarmi di una santa, non sceglierei santa Fina, ma santa Caterina senese, per quel suo gusto sadico delle lacrime e delle ferite, per quella sua crudeltà tutta moderna, per quel suo morboso istinto che la spingeva a immergere le mani nel sangue dei condannati, a raccoglierne in grembo la testa spiccata dalla mannaia, per quella luce che la trasfigurava quando tornava a casa tutta imbrattata di sangue, nelle narici nelle vesti nei capelli quell’odore di sangue, sulle mani bianche il sangue del suppliziato, il sangue di Cristo aggrumato sulle sue mani bianche.

Mi piace in santa Caterina quella sua atroce, esaltata simpatia per i criminali, gli assassini, i parricidi, quella sua torbida passione per i più efferati delitti. Il sangue dei tristi, il dondolare degli impiccati, l’inginocchiarsi davanti al ceppo dei condannati alla mannaia, il grido e lo scempio degli squartati, la chiamavano come la voce del maschio chiama la femmina in calore.  Veniva con quel suo moto rapido e leggero, trasognato, dondolandosi sui fragili piedi, sui ginocchi malfermi, gli occhi socchiusi, le labbra tremanti in un sorriso voglioso, le mani non giunte sul petto, ma protese, quelle sue mani così piccole, così bianche, così trasparenti. Camminava per le strade anguste, chiuse tra gli alti muri di pietra, verso il patibolo, pallida e sorridente, e il boia volgeva il capo sentendola giungere di lontano prima ancora che gli occhi la vedessero, la chiamava per nome, e Caterina veniva quasi correndo, il seno sollevato dall’affanno della corsa, dal timore e insieme dal desiderio di giungere troppo tardi.

Quel che muoveva santa Caterina non era la pietà degli innocenti, ma l’amore degli assassini. Il più puro, il più misterioso, il più cristiano amore. Gli innocenti appartengono a Cristo, sono già suoi. Caterina non avrebbe saputo, non sapeva che farsene. Il loro sangue non ha sapore, non ha colore, è freddo e trasparente come l’acqua. Il sangue degli innocenti non manda lo stesso odore acro e forte del sangue dei protervi, degli scellerati.

Caterina correva verso il patibolo, dove l’assassino già piegava il ginocchio, già offriva il collo alla mannaia, già volgeva il viso (udendo il lieve fruscio dei piedi nudi) per guardare venire verso di lui quell’ultima amante, quella sposa ignorata, a quell’ultimo convegno d’amore. Correva scavalcando con piede leggero le vittime sanguinose, senza curarsi del sangue che bagnava il lastrico della strada. Che le importava il pianto degli innocenti, il loro grido d’invocazione, il loro lamento? Correva verso l’assassino, verso il suo sangue, verso il bagliore giallo dell’occhio dell’assassino. Afferrava per i capelli e per il pelo della barba la testa del suppliziato, tirandola a sé, perché al lampo e al sibilo della scure la testa le cadesse in grembo, viva fontana di sangue, e la inondasse del sangue di Cristo. Quella testa ancora viva. Quelle palpebre tremanti sugli occhi ancora vivi. Quella bocca che sputava sangue, e la lingua rossa, gonfia, che negli ultimi spasimi le leccava le mani. Curzio Malaparte – “Maledetti toscani”

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