Una mano tesa che non porta aiuto

Foto di S. Hermann / F. Richter da Pixabay

Marco Cappato, insieme a Felicetta Maltese e Virginia Fiume, attiviste di Eutanasia Legale, si è autodenunciato ieri mattina a Bologna, presso la stazione dei Carabinieri, per l’aiuto offerto alla signora Paola, morta ieri in Svizzera, dove ha ottenuto la morte volontaria assistita. Pur non avendola fisicamente accompagnata oltre confine, Marco Cappato si è autodenunciato in quanto responsabile legale dell’organizzazione Soccorso Civile, che fornisce assistenza logistica e finanziaria alle persone che vogliono accedere alla morte medicalmente assistita.



A Paola, 89 anni di Bologna, malata di Parkinson, è capitata la stessa sorte di Massimiliano, Romano ed Elena, prima di lei: imbattersi, nel momento più debole e vulnerabile della propria vita, nella mano tesa sbagliata, di chi propone la falsa dignità di una morte “dolce” e “libera”, piuttosto che la dignità vera dell’accompagnamento e del sostegno fisico e morale del sofferente.



Paola soffriva terribilmente, il Parkinson le impediva quasi completamente di muoversi e anche di parlare. Questo il suo messaggio: «Tale decisione è maturata nel tempo. Dal 2012 un inizio di malessere chiaramente diagnosticato nel 2015. Un graduale e lento decorso verso la totale immobilità. Ora sono vigile in un corpo diventato gabbia senza spazio né speranza. Anzi stringe, ora dopo ora, inesorabile la morsa. La diagnosi è un parkinsonismo irreversibile e feroce — taupatia — arrivata oggi ad uno stadio che non mi consente più di vivere. Non sono autonoma in nulla, tranne che nel pensiero.»



Come Massimiliano, Romano ed Elena, Paola non era in possesso di uno dei requisiti previsti dalla sentenza della Consulta 242/2019 relativa al caso Cappato-Antoniani, per poter accedere alla morte medicalmente assistita in Italia, quello di essere “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”. Da qui la chiamata all’associazione Luca Coscioni e il viaggio in Svizzera.



«Questa vicenda mi riporta alla memoria del caro amico Martino Cichocki, membro del Direttivo di Steadfast e tra le prime persone che ho chiamato quando decisi di fondare la nostra organizzazione. Anche Martino era malato di Parkinson, malattia aggressiva che ogni giorno gli sottraeva forze, fino alla totale immobilità. Al contrario di Paola, Martino trovò in Steadfast e nell’aiuto al prossimo la sua ragione di vita, anche se fragile e gravemente malata. Ricordo ancora che in uno dei numerosi viaggi fatti insieme in Nigeria, quando il Parkinson iniziò a sprigionare una grande violenza sul corpo di Martino, egli rispose alla mia preoccupazione per il suo grave malessere così: “mi basta arrivare alla poltroncina dell’aereo e farmi portare fino a Lagos, poi tutto sarà splendido per quello che ho dentro il mio cuore: voglio donare la mia disponibilità per un mondo emarginato e dove gli abitanti soffrono per la nostra sete di denaro, di potere che è spesso cieco di fronte alle ingiustizie”. Ecco a volte sono proprio le prospettive di vita a cambiare il decorso dell’esistenza di una persona. Due biglietti per un viaggio: Paola, con destinazione Svizzera per trovare la morte; Martino, con destinazione Lagos per continuare a vivere.» – ricorda il nostro Presidente, Emmanuele Di Leo.



Noi non ci stiamo! Non accetteremo mai una società che di fronte alla richiesta di aiuto disperata di Paola, Massimiliano, Romano, Elena risponde con un biglietto di sola andata. Un biglietto che sembra di prima classe, la soluzione a tutti i problemi in modo veloce, ma in realtà è un biglietto per il vagone merci dove si mettono le cose che non contano più… non le persone! Le persone vanno capite, consolate, aiutate e se perse nella loro sofferenza, sostenute magari anche con una nuova ragione di vita.



di: Manuela Miraglia, cooperante Steadfast
Per aiutare Steadfast: DONA A STEADFAST

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