Eduardo, aveva perso tutto (famiglia, amici, soldi) e ora ha ritrovato la vita.

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Image by RÜŞTÜ BOZKUŞ from Pixabay

«Padre, mi hanno detto che su via Asunción Flores, vicino al Tribunale della giustizia elettorale, c’è un uomo coperto di mosche, sdraiato sul marciapiede. Che facciamo?».
«Figlia mia, andiamo subito a prenderlo e lo portiamo a casa».
«Ma padre, è tutto occupato, dove lo mettiamo?».
«Non ti preoccupare. In questo momento la prima cosa che il Signore ci chiede è quella di portare via dalla strada suo figlio, dopo la Provvidenza ci indicherà dove metterlo».
Chiamo suor Sonia che mi accompagna col camioncino sul posto, in compagnia di Irma, la responsabile delle case per anziani, e di un’infermiera. Arrivati sul posto lo spettacolo è terribile. Pieno di piaghe, ubriaco, era coperto dai propri escrementi. L’odore era insopportabile. Gli abbiamo chiesto il nome e da dove veniva.
«Mi chiamo Eduardo, sono argentino, ex combattente del conflitto delle Isole Falkland (l’inutile guerra tra Inghilterra e Argentina degli anni Ottanta, ndr)». Non ha saputo dirmi nient’altro che queste parole.
Lo abbiamo preso con delicatezza e molto affetto, come si alza l’Ostia durante la Messa; con grande fatica siamo riusciti a metterlo sul sedile anteriore, di fianco a suor Sonia. L’odore ha riempito l’automobile, un fetore insopportabile. Tuttavia, pensavo tra me e me: questo odore è sacro, perché è l’odore di Cristo. Il Papa ci ha detto che noi sacerdoti dobbiamo puzzare di pecora, tuttavia in questi momenti puzzo di urina e di escrementi… Odori che, senza dubbio, fanno parte anche loro della vita di un prete.
Mentre tornavamo a casa Eduardo ci ha domandato: «Ma voi perché fate questo per me?». Questa domanda mi ha commosso. E gli ho risposto: «Perché tu sei Gesù crocifisso e abbandonato». Eduardo ha guardato la croce di legno che avevo sul petto, l’ha presa e ha detto: «Gesù, Gesù, Gesù».
Finalmente, arrivati alla casa, con l’aiuto di un’altra infermiera lo abbiamo portato dentro, gli abbiamo tolto i vestiti sporchi e pieni di escrementi, lavato, tagliato la barba e messo un pigiama. La doccia l’ha svegliato e gli ha permesso di ricominciare a parlare e camminare. Ci guardava con affetto quando lo abbiamo messo a tavola per mangiare un ricco brodo di verdure e carne con pane. Chissà da quanti anni non mangiava seduto a un tavolo!
Prima di andare via gli ho baciato la testa, salutandolo affettuosamente. Quando lo abbiamo lasciato, nel salutarci ci ha detto: «Vi ringrazio per i sorrisi che mi avete regalato». Ci siamo guardati in faccia e, con le lacrime agli occhi, siamo ritornati all’ospedale dove ci aspettavano altre persone bisognose e abbandonate. Ma nella nostra mente si ripresentava continuamente la sua gratitudine.
Alcuni giorni più tardi sono tornato per rivederlo. Ho dovuto chiedere all’infermiera quale, tra le persone raccolte, fosse Eduardo. Sentendo la mia voce mi ha riconosciuto, si è alzato dalla sedia, mi ha dato la mano e sorridendomi, con la sua voce forte da militare, mi ha detto: «Padre, sono io, Eduardo!». Non credevo ai miei occhi tanto era cambiato da quel pomeriggio quando lo abbiamo raccolto dal marciapiede. Mi ha abbracciato con tanto affetto e ha voluto che mi sedessi al suo fianco. Ha voluto confessarsi perché aveva un grande bisogno di chiedere perdono al Signore e di sentire, dopo tanti anni, le parole più belle che un uomo potesse ascoltare da un sacerdote: «Io ti assolvo da tutti i tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». Il suo “Amen” è stato un pianto convulso. Finalmente ha potuto sperimentare la pace del perdono, la serenità ha finalmente sostituito l’odio che lo tormentava, quell’odio contro i generali che avevano inventato una guerra assurda per recuperare alcune isole, contro gli inglesi che avevano ammazzato i suoi fratelli e anche contro la vita per avergli tolto tutto.
Che potenza il sacramento della confessione! Quasi tutte le persone che abbiamo accompagnato a morire o a ritrovare il gusto della vita, hanno sperimentato il miracolo della confessione. Solo alcuni evangelici non l’hanno chiesta. Io stesso, come sempre continuo ad affermare, sono stato salvato dal sacramento settimanale della confessione.
Finalmente Eduardo è felice. Ora lavora nelle opere, aggiusta qualsiasi cosa che non funziona. È stato veramente restituito alla vita.

* * *
Sono un ex combattente della guerra delle Isole Falkland. Sono un uomo che ha perso tre fratelli in quella guerra, due erano piloti, uno soldato come me.
Per anni ho lavorato alla Narcotici, dove sono arrivato ad avere un alto incarico e, dopo, quando mi sono fidanzato, mi hanno trasferito in un posto chiamato Curuzú Cuatiá, nel Dipartimento di Corrientes, in Argentina. Stavo facendo corsi di formazione quando è iniziato il conflitto contro gli inglesi.
Ho portato con me 140 soldati ineccepibili, forti e intelligenti; non avevamo armi come quelle che avevano gli inglesi, a noi mancava sempre tutto. I nostri rivali erano molti di più, ma non è tutto: siamo incappati in un vascello chiamato Hermel. A bordo c’erano i Gurkha, nepalesi addestrati a sterminare chiunque, capaci di ammazzare, per soldi, anche la propria madre…
La perdita è la cosa che mi ha fatto soffrire di più nella vita. In primo luogo la perdita di mia madre che, come per tutti, è una di quelle cose con cui Dio ci mette alla prova. Nel conflitto bellico sulle Isole Falkland ho perso tre fratelli. Durante la guerra una scheggia ha attraversato il mio elmetto e per questo ho conosciuto il mio paese di origine, la grande Italia, dove mi sono fatto operare. Dopo sono tornato in Argentina perché in Italia non mi trovavo bene. Poi sono venuto in Paraguay, una terra più tranquilla.
Come ho detto prima, conosco vari paesi, ma in Paraguay non ricordo di avere mai sofferto la fame. Sono andato a lavorare al Monday, dove ho ricevuto la notizia di un’altra perdita: tutta la mia famiglia era morta in un incidente automobilistico. In quel momento avrei voluto fare una strage, avrei voluto morire io stesso. Ma credo di avere ancora qualcosa da fare sulla terra, per questo Dio mi ha lasciato vivo.
Perdere una figlia, un figlio e la moglie è stato molto pesante. Ho incominciato a bere, a vivere sulle panchine e a spostarmi da marciapiede a marciapiede. Per lungo tempo sono andato avanti così. Poi ho nuovamente ripreso contatto con la vita e mi sono rimesso a lavorare: un vecchio cliente mi ha chiesto di costruire una cella frigorifera da quindici tonnellate. Per farlo mi ha dato una grande somma di guaraní. Poi tre individui mi hanno rapinato. Da quel momento ho ricominciato a bere. Avevo perso il controllo, non capivo quello che mi succedeva… Quando mi passava la sbornia chiedevo sempre al mio amato Signore che mi portasse con sé. Ma evidentemente dovevo fare ancora qualcosa sulla terra…
Un giorno, un buon samaritano mi ha trovato disteso per strada e mi ha dato da mangiare. E sono rinato.
Ho delle competenze che molti vorrebbero avere. Grazie a Dio capisco qualcosa di idraulica, so come si aggiustano le lavatrici e come funzionano i condizionatori. Ringrazio Dio per queste persone che ho trovato sulla mia strada. Oggi, dove vivo, non mi manca nulla, ci si sente come in famiglia, se devo mollare tutto e mettermi ad aiutare, con molto piacere faccio la mia parte. Rifaccio i letti, tolgo tutto ciò che è sporco, ripasso i pavimenti con la candeggina, spolvero i mobili. Ho riparato un aspirapolvere e persino i fornelli della cucina: prima aveva un solo fuoco che si accendeva, ora funzionano tutti e quattro.
Per questo ringrazio il primo Supremo (Dio).

Eduardo F. ex combattente delle Isole Falkland

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Articolo tratto da www.tempi.it
per gentile concessione della redazione (7-7-2023).

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