La fedeltà di Dio è l’amico che viene a vivere con me

Il cristianesimo è un’amicizia con Cristo e con tutti noi che siamo stati afferrati da Lui. Un’amicizia che ha come fine ultimo quello di comunicare al mondo intero la Sua tenerezza piena di misericordia, ragione per la quale Dio si è fatto carne. Molte volte mi chiedo: perché il Mistero ha scelto me e mi ha preferito quando avrebbe potuto scegliere un altro tra milioni di persone più intelligenti e più coerenti di me? Dio sceglie chi ama per offrire al mondo il suo infinito amore. L’elezione è il metodo del Mistero da Abramo fino ad oggi.

Ricordo che negli anni Ottanta, quando insegnavo Religione in un liceo a Feltre (Bl) un ragazzo mi ha chiesto: «Padre, può spiegarmi perché tra tanti compagni di classe molto più impegnati con la realtà Dio ha scelto me che sono un rompicapo per tutti?». Gli ho risposto che, guardando la mia vita, io non ero mai stato un esempio di coerenza, né tanto meno un modello da seguire, ma Dio ha scelto me, il peggiore dei miei compagni, e mi ha scelto secondo un criterio che continua a sorprendermi: il criterio della preferenza. Lui conosce tutto di me, i miei limiti, le mie ribellioni, le mie inquietudini, perché mi ha scelto prima che io nascessi. Mi ha scelto per mostrare a tutti la Sua infinita misericordia. Per questo, quando mi sono reso conto della chiamata, ho lasciato tutto per entrare in seminario. Era il pomeriggio del 28 luglio 1958, avevo 11 anni. Ho abbandonato casa mia e la mia famiglia per entrare nel seminario dei Padri Canossiani. Da quel giorno sono già passati 54 anni. I primi tempi di sacerdozio sono stati molto difficili, perché erano gli anni della protesta, della confusione e della ricerca di un mondo nuovo. Mi sono fatto “amico” di alcune persone che militavano in uno dei movimenti di estrema sinistra. Sono stati anni durissimi, perché segnati dalla ribellione che vibrava in me.

I potenti desideri di felicità, bellezza, giustizia, verità, erano la ragione del mio vivere. Con il tempo mi sono reso conto che l’ideologia era solo un’utopia, perché non rispondeva a ciò che il mio cuore desiderava, come pure non rispondeva l’educazione ricevuta in seminario. Il Signore che mi ha scelto non mi ha mai abbandonato, come afferma il profeta Isaia: «Sion ha detto: “Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato”. Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, sulle palme delle mie mani ti ho disegnato, le tue mura sono sempre davanti a me».

Sono passati molti anni da allora e con gioia posso gridare a tutti la verità: Dio non abbandona mai i suoi figli, perché è il Padre: «Tam Pater nemo», come ripeteva spesso don Luigi Giussani. La modalità attraverso cui il Mistero continua a manifestarmi la Sua Presenza è l’amicizia di alcune persone che ha messo al mio fianco per accompagnarmi. Persone che vivono in Italia e persone che vivono con me, come padre Paolino, un uomo autentico, libero, appassionato alla realtà e per questo umile. Una presenza che mi commuove e senza la quale Dio non avrebbe fatto ciò che ha fatto in questo perimetro di terra che il mondo può contemplare.

Questi mesi sono stati davvero l’occasione di verifica della fede. Abbiamo vissuto insieme momenti molto duri e difficili. L’esperienza del Getsemani non ci è stata risparmiata. Ci sono stati momenti di terribile oscurità che ci hanno spinto a chiedere a padre Alberto di venire a vivere con noi. Ricordo che a gennaio di quest’anno, quando gli ho chiesto se voleva venire a vivere qui, come nei primi dieci anni di missione, lui mi ha risposto che da molto tempo stava aspettando questa provocazione. Ancora una volta il Mistero ci ha risposto in modo molto concreto, attraverso la persona di padre Alberto. Qualche giorno fa, padre Alberto ha inviato a tutti i suoi amici le lettere che pubblichiamo di seguito. È un esempio di cosa significhi l’amicizia: dare la vita per un amico. Tutti parliamo o scriviamo su questo argomento, ma quanti di noi hanno la libertà di abbandonare una missione per condividere la propria vita con chi ha bisogno di loro?

Carissimi amici, il 5 maggio 2012 compio 33 anni di sacerdozio (gli anni che il Signore ha vissuto qui fra noi in questo mondo). Mi hanno molto colpito le parole bellissime di don Julián Carrón della lettera a Repubblica del 1° maggio scorso, che faccio mie. «L’avvenimento dell’incontro con Cristo ci ha segnato e mi ha segnato così potentemente che ci consente e mi consente di ricominciare sempre dopo qualsiasi errore o peccato rendendomi più umile e più consapevole della mia debolezza. Tutto il male che posso aver compiuto non riesce a cancellare la passione per Cristo che l’incontro con il Movimento e don Giussani mi ha suscitato». Ho fatto mie queste parole così sagge e vere, perché in questi 33 anni ho imparato proprio dal mio grande amico e confratello padre Aldo a confessarmi spesso per riconoscere che senza Cristo non possiamo fare nulla.

È con il cuore contento che celebro la Santa Messa oggi, non perché sono riuscito a fare quello che volevo, ma perché Lui mi accompagna e rende più vera ogni mia azione. Per questo è bello vivere ogni giorno con questa decisione di seguirlo.

Con quale volto, o Dio, o con quali volti ti presenti oggi a me? A questa domanda cerco e ho cercato di rispondere anche quando Ti ho rifiutato cercando altro, ma Tu mi sei sempre venuto a prendere senza scandalizzarti del mio peccato, così come hai fatto con san Pietro. Allora Ti ringrazio e chiedo alla Madonna, in questi giorni del mese a Lei dedicato, che mi aiuti e sostenga il mio cammino. Ringrazio tutti voi amici italiani, quelli di Forlì, del Paraguay, del Venezuela, dell’Ecuador, per l’aiuto che mi avete dato e chiedo che anche voi preghiate per me e possiate sostenere ancora il mio cammino. Infine chiedo a don Giussani e al beato Giovanni Paolo II che mi sostengano dal Cielo perché io possa essere fedele al mio ministero, per il tempo che il Signore ancora mi vorrà donare. Un abbraccio commosso

Padre Alberto

Cari amici, è molto difficile per me scrivere quello che adesso vi dirò. Il 10 luglio lascerò l’Ecuador per iniziare una nuova missione in un paese in cui sono già stato per vari anni in passato: il Paraguay.

Perché vado? Un grande amico me l’ha chiesto e io ho risposto sì. Perché non fosse una volontà solo mia, ho chiesto il permesso al vescovo di Guayaquil che, anche se dispiaciuto, ha risposto di sì alla mia richiesta, come pure il vescovo di Forlì. Il vescovo di Asunción ha chiesto che io vada a lavorare lì.

Un sacerdote amico, al quale ho chiesto consiglio, mi ha detto: «Se i vescovi ti diranno sì vuol dire che è la volontà di Dio, altrimenti niente». Per questo sono tranquillo, perché da una parte c’è un amico con il quale ho amicizie qui in Guayaquil e in Ecuador che sono importanti e che non voglio perdere.

A me hanno insegnato, e l’ho visto con i miei occhi, che tutto quello che si consegna al Signore non si perde, ma al contrario si guadagna il cento per uno. Questa è la Sua promessa ed è vera, perché lo dice Gesù nel Vangelo e l’ho sperimentato quando il 30 di settembre del 1986 ho lasciato la mia casa, con paura, però ho obbedito e il risultato è stato grande. Analogamente, appena arrivato in questa bella terra dell’Ecuador, il 10 giugno del 2008, mi hanno tagliato il dito del piede e da quando questo è successo sento un legame forte con questo paese e queste persone.

Sono stato molto bene in questa parrocchia, con questa gente, e ringrazio tutte le persone che ho conosciuto. Conosco i miei limiti e il mio carattere, a volte molto duro: mi arrabbio facilmente per futili motivi (può essere dovuto alla malattia, ma non voglio giustificarmi). Chiedo perdono per questo a coloro che si possono essere offesi. Che Dio mi perdoni. Sicuramente il mio successore, che al momento non so chi sia, vi aiuterà a continuare il cammino di fede che abbiamo fatto nella parrocchia, migliorando gli errori e continuando con più gioia e allegria.

Come molti di voi sanno, ho tante malattie che ultimamente non mi hanno dato molto fastidio, ma che sono gravi. Vi chiedo di pregare per me e io vi assicuro che mi ricorderò di voi, vi ho tutti nel cuore e nelle mie preghiere. Per questo vi invito a una festa insieme. Perché una festa? Perché vogliamo ringraziare il Signore per tutto quello che mi ha dato e ci ha dato e vogliamo chiedergli che continui a tenerci una mano sulla testa. E vogliamo fare insieme una richiesta speciale per voi, che siate fedeli al cammino di fede che Dio vi indica, e per me, che mi accompagni in questa nuova missione. Grazie a tutti voi, Dio vi benedica.

Padre Alberto

Amici, come non commuoversi di fronte a un uomo che per un amico lascia tutto, perfino la sua casa parrocchiale che aveva da poco terminato di costruire, per venire in Paraguay e condividere con me la sua vita? Non viviamo di appuntamenti o di consigli, ma di una compagnia che cammina al nostro fianco ventiquattro ore al giorno. Non esiste depressione che possa resistere dentro un’amicizia che mi viene donata. [at]

Aldo Trento –  2013 – Tempi

Articolo tratto da www.tempi.it per gentile concessione della redazione (7-7-2023).

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