La cura nella veglia aresponsiva: una disabilità gravissima

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Un po’ di storia delle definizioni:
Lo stato vegetativo veniva definito come una condizione cronica in cui era conservata la capacità di mantenere la pressione arteriosa, la respirazione e la funzione cardiaca, ma non c’erano funzioni cognitive.

Nel 2015 il Ministero della Salute, ha definito lo stato di veglia aresponsiva per sostituire lo “stato vegetativo”. Essa è una condizione in cui il paziente non mostra segni di coscienza o reattività, ma ha un ciclo sonno-veglia normale e riflessi neurovegetativi e motori. Ne consegue che la cura della persona deve coprire tre ambiti: motorio, cognitivo e affettivo-relazionale, i quali risultano influenzati dalla grave disabilità.

Per prima cosa, è necessaria una corretta diagnosi. Spesso persone incoscienti in realtà non lo erano. La mobilità spesso rappresentava l’unico mezzo che avevamo per comprendere se le funzioni cognitive erano ancora funzionanti o meno. Ad esempio, si utilizza il movimento oculare, ma se le vie nervose fossero lesionate, il paziente comprende ma non può muovere gli occhi. Lo stesso vale per muovere un dito o una mano. Si aggiunga inoltre che la sedazione o le cure farmacologiche possono rallentare e bloccare le reazioni.

L’evidenza dimostra che è necessaria la presenza dei familiari e di persone amiche che possano stimolare ed essere un obiettivo della comunicazione del malato. Ovviamente, anche chi non è del settore sanitario deve essere istruito per segnalare e annotare ogni risposta di qualsiasi tipo.

È fondamentale avere persone accanto al paziente quando è in coma, ma soprattutto al risveglio che è un momento critico del percorso. Possiamo dire che un malato da solo potrebbe non risvegliarsi. Chi ha qualcuno accanto che lo attende, lo desidera e lo stimola, ha maggiori probabilità di svegliarsi e di recuperare più velocemente. Va abbandonata la cultura dello scarto che associa al malato inguaribile (non può guarire) al non curabile. La cura si dà sempre e se non si guarisce, si può migliorare e non peggiorare velocemente.

Un paziente cronico, sia lieve che grave, se non curato e riabilitato, peggiora. Va assolutamente eliminata la suddivisione tra recuperabili e irrecuperabili, che condanna le persone con lesioni cerebrali a vivere in cliniche residenziali, lontani dalla famiglia e con poca riabilitazione (in media 30 minuti al giorno). Va garantito quando le condizioni della famiglia lo consentono, l’accudimento a casa propria.
Paolo Botti

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