La storia sconosciuta di Don Bosco

G Lamperti Tornaghi, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

L’inutile attesa di un’ultima udienza papale

“Sono persuaso che qui sia impedita la maggior gloria di Dio e il bene delle anime”

Dal 23 dicembre 1877 al 26 marzo 1878 don Bosco risiedette in Roma. Vi era giunto all’antivigilia di Natale per poter sbrogliare antiche e intricate matasse, che si erano ancor di più intorcigliate lungo l’intero anno che stava per concludersi. Intendeva avvicinare soprattutto le autorità vaticane. Con l’arcivescovo di Torino infatti le numerose vertenze aperte da tempo non sembravano avviarsi a conclusione, anzi si ampliavano sempre più. Una “Lettera sull’Arcivescovo di Torino e sulla Congregazione di San Francesco di Sales”, pubblicata in quei giorni da “Un antico allievo dell’oratorio onorato di potersi dire Cooperatore Salesiano” aveva scatenato ulteriori polemiche giornalistiche, tanto che mons. Gastaldi pensò di radunare il suo clero perché si schierasse compatto dalla sua parte contro don Bosco. Ovviamente aveva informato le autorità pontificie e particolarmente il card. Innocenzo Ferrieri, Prefetto della Congregazione dei Vescovi e Regolari, che don Bosco sapeva, per esperienza propria e per informazioni di “amici romani”, piuttosto contrario alla società salesiana.

I gravi dissapori con Torino
Don Bosco pensò allora di doversi difendere personalmente dalle accuse di falsità e di dover dimostrare che l’arcivescovo con il suo atteggiamento ostile ai salesiani gettava il disonore sulla congregazione, gli aveva fatto trascurare utili occupazioni, fare viaggi costosi, interrompere trattative di fondazioni in Italia e all’estero perdendo così forti beneficenze, e soprattutto gli negava la possibilità di difendersi, pena la sospensione dai servizi ecclesiastici. E se a don Giuseppe Lazzero, rettore della Casa Madre di Torino, aveva inflitto la sospensione dalle confessioni per 6 mesi “senza motivo e senza forma canonica”, da tutti i religiosi della diocesi l’arcivescovo esigeva obbligo di confessarsi onde vedersi rinnovata la patente di confessione. Don Bosco concludeva il suo sfogo con il suddetto cardinale con le seguenti amarissime parole: “Sono persuaso che qui sia impedita la maggior gloria di Dio e il bene delle anime”.  

Nella capitale
Una volta a Roma don Bosco si sottopose a un ritmo massacrante di colloqui; invero con un certo risultato. Il 3 gennaio 1878 scriveva infatti a don Rua: “Il nostro silenzio e le preghiere faranno quanto sarà della maggior gloria di Dio. Io però non istò inoperoso. Benevolenza presso di tutti. Da fare immenso”. E tre giorni dopo allo stesso suo collaboratore: “Le cose nostre procedono bene. Pasticci, disturbi lunghi, ma pur molto utili. Silenzio, preghiera, niun rumore”. Don Bosco desiderava soprattutto essere ricevuto dall’“amico” Pio IX: sapeva infatti che il Papa desiderava incontrarlo fin dall’anno precedente. Ma le sue richieste di udienza cadevano sempre nel vuoto. Invero qualche ragione c’era di tale ritardo: il Papa era seriamente ammalato. Era intanto deceduto il re Vittorio Emanuele II dopo aver ricevuto i sacramenti, per la gioia di don Bosco che coltivò sempre grande devozione, nonostante tutto, al suo sovrano: “Col ricevere i SS. Sacramenti, assicurò, speriamo, la salvezza dell’anima sua… Si dice che presso al Card. Vicario esiste una formale ritrattazione, firmata dal Re. Quello che è certo si è che negli ultimi momenti chiese carta e penna, gli furono negati dicendo che in que’ momenti ne avrebbe avuto grave nocumento”. Comunque fosse, don Bosco restava ottimista sull’esito dei suoi colloqui romani. Il 21 gennaio scriveva a don Rua: “Le cose nostre qui vanno assai bene e forse nel ricevere questa lettera le nostre cose saranno conchiuse… Sono di molta importanza morale, materiale e religiosa”. Si trattava infatti di concessione di nuovi e più ampi privilegi alla congregazione, di facoltà speciali soprattutto per i luoghi di missioni, di erezione di una o due case salesiane in Roma. Pochi giorni dopo ribadiva al suo primo collaboratore le stesse convinzioni: “Puoi anche comunicare in confidenza che le cose nostre vanno assai bene. Il consultore dei Vescovi e Regolari ha già esaminato tutte le imputazioni dell’Arcivescovo, ma conchiuse che non ve n’è una che regga e che la nostra Congregazione ha niente di biasimevole verso di lui. Ora io ho presentato un mucchio di reclami, ossia le lettere vessatorie. Tutti i Cardinali sono sbalorditi e non sanno che deliberare, ma tutti prendono le nostre parti e vogliono farci una posizione normale e tranquilla”. 

Rimane con un pugno di mosche
In realtà le cose non stavano proprio come don Bosco credeva. Il suo primo “avversario” il card. Ferrieri, ammalato da tempo, avrebbe ripreso le sue funzioni ai primi di febbraio. A quel punto don Bosco si augurava di tornare a Torino a metà mese “con le cose aggiustate, almeno hic et nunc”, grazie anche all’appoggio del Papa che dal 23 gennaio “stava migliorando” e che il 4 febbraio “cominciò a fare un po’ di passeggio in camera”. Ormai pensava imminente l’udienza, visto anche che – come scriveva al giovane Victor Cesconi – “sono quaranta giorni da che sono in Roma e non ho ancora potuto avere un minuto di udienza, avendo il S. P. finora tenuto il letto”. Ma il 7 febbraio il Papa veniva meno: “Oggi circa alle 3½ si estingueva il sommo ed incomparabile astro della Chiesa, Pio IX… Roma è tutta in costernazione e credo lo stesso in tutto il mondo”. Don Bosco poté venerarne la salma e “baciarne il piede”, ma non certo chiudere le pratiche in corso e per le quali aveva tanto lavorato. Scriveva infatti il 10 febbraio a Rua: “Le cose nostre rimangano in parte sospese. Martedì avrò comunicazione di qualche cosa speciale, da cui dipende la mia partenza o protrazione di essa da Roma”. Gli venne infatti suggerito di attendere il nuovo Papa, presumibilmente uno dei tre cardinali Bilio, Simeoni, Monaco, che gli si professavano amici. Il conclave scelse invece il card. Gioacchino Pecci, che don Bosco non conosceva personalmente e che avrebbe dovuto aggiornare ex novo sullo stato della società salesiana nella prima udienza concessagli, il 16 marzo 1878. La vicenda Bosco­Gastaldi ritornava in alto mare e la concessione degli auspicati “privilegi” rimandata sine die.

Francesco Motto dal Bollettino Salesiano

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