Don Bosco connesso costantemente con la Santa Sede

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G Lamperti Tornaghi, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Volete una prova? Eccola, e mi limito ad alcune delle
lettere sconosciute di un solo anno ed inviate ad un unico
personaggio, il cardinale Lorenzo Nina, Segretario di
Stato di papa Leone XIII.

Un progetto missionario dopo l’altro, senza sosta

Ad inizio anno 1879 don Bosco accoglieva formalmente l’invito da Roma di aprire un nuovo fronte missionario a servizio della diocesi del Paraguay: “In merito poi alla dimanda che V. Eminenza mi fa da parte di S. S. per avere missionarii pel Paraguay. Le dico, come già altre volte, che ogni desiderio del S. Padre è per noi un assoluto comando”. Molto saggiamente don Bosco chiedeva “qualche mese di tempo per potere preparare una decina di salesiani ed eventualmente altrettante fma attraverso lo studio della lingua, dei costumi e della storia del Paese onde recarsi colà “forniti possibilmente di quelle cognizioni che possono in qualche modo tornare utili a quei popoli”. Con alcuni salesiani già presenti in America Latina, pensava di poter raggiungere il numero di quindici missionari. Invero l’impegno non poté poi essere onorato nei tempi previsti, neppure con l’invio di due soli missionari, a causa di una rivoluzione scoppiata in quella Repubblica. I salesiani indugiarono
a lungo, forse troppo, tanto da entrare in Paraguay solo nel 1896.
Non così in Patagonia, dove entrarono nel gennaio 1880, come documenta la lettera al cardinale Nina di fine anno 1879, in cui don Bosco informava l’eminente porporato che il progetto patagonico stava assumendo “proporzioni colossali”, tali da richiedere “duemila missionari” e non solo i dodici partiti il 15 dicembre e quelli ancor più numerosi che sperava di inviare colà in marzo 1880.

Libertà educativa come condizione previa per aprire una casa salesiana

Nella lettera della comunicazione della partenza dei succitati due missionari il 22 luglio, don Bosco apriva un interessante spiraglio sulla motivazione data al rifiuto di accettare la direzione dell’ospizio romano di S. Michele proposta da monsignor Jacobini: “era incompatibile col nostro sistema di educazione”. Il progetto non lasciava liberi i salesiani di applicare il sistema preventivo, tant’è che don Bosco aggiungeva subito: “qualora però il S. Padre desiderasse che noi prendessimo cura di qualche ospizio in Roma […] io ci andrei, purché possiamo essere liberi nella parte disciplinare”.

Totale adesione alle direttive pontificie

Gradita invece dovette risultare al cardinale la lettera del 29 ottobre con cui don Bosco assicurava l’adesione dei salesiani all’enciclica Aeterni Patris con cui la Santa Sede intendeva rilanciare la filosofia tomista reputata come la più adeguata per la riforma di una società secolarizzata e la più congeniale al messaggio cristiano: “Credo
non sia necessario che io esprima a nome dei salesiani tutti una assoluta ed illuminata adesione alla recente Enciclica di Sua Santità. Le nostre Regole stabiliscono di seguire fedelmente la dottrina di san Tommaso e quegli autori commendati dalla Santa Chiesa
perché lo hanno fedelmente interpretato. Tuttavia se giudicasse a proposito. La supplico di assicurare S. Santità che noi non solo facciamo adesione a questa Enciclica, ma a qualsiasi disposizione
della S. Sede pronti a dare tutto anche la vita ove sia d’uopo in
difesa di quei principii e di quelle dottrine di cui solamente il Romano
Pontefice è Maestro Infallibile”. Don Bosco sempre dalla parte del papa, fosse Pio IX o Leone XIII. Lo sarebbe certamente con papa Francesco.

Ma anche i soldi sono utili e talora necessari per salvare le anime

La corrispondenza con il cardinale Nina documenta pure due ennesimi tentativi falliti, in aprile e settembre 1879, circa la concessione di sussidi economici alle missioni salesiane da parte dell’Opera di Propagazione della Fede e della Santa Infanzia di
Francia. Queste, due istituzioni, rigidissime nella difesa delle norme che regolavano l’erogazione di aiuti economici, respinsero, anche questa volta, come sempre, le richieste di don Bosco, nonostante l’autorevole intervento del cardinal Segretario di Stato.Miglior fortuna invece ebbe la domanda per l’erigenda chiesa di Vallecrosia
a servizio dei ragazzi dell’opera salesiana che si stava colà aprendo, in contrapposizione ai protestanti. Don Bosco a metà settembre 1879, a nome del vescovo e di una commissione di beneficenza, tramite il cardinale Nina, chiese una benedizione apostolica
per tutti i benefattori. L’appoggio, richiesto, del cardinale, fu tale che
con la benedizione, don Bosco ricevette dal pontefice anche un sussidio di 500 lire.
Si potrebbe continuare con l’annuncio al cardinale dell’arrivo in Roma ad inizio gennaio 1880 del salesiano don Francesco Dalmazzo con l’incarico di Procuratore, cosa che avrebbe favorito i rapporti fra salesiani e Santa Sede.
Del resto il Nina, nel marzo precedente, era stato nominato cardinale protettore della società salesiana da papa Leone XIII. Infatti alla supplica di don Bosco, papa Leone, dopo essersi offerto personalmente per tale ruolo, accettò ragionevolmente la proposta di nominare il cardinale Segretario di Stato, con grande gioia di don Bosco che, da Firenze subito si felicitò con lui e lo ringraziò, ripromettendosi però, appena arrivato a Torino, di illustrargli
la non felice situazione in cui versava la società salesiana per mancanza di particolari libertà di azione. L’autorevole cardinale se ne sarebbe interessato, ma senza troppo successo. Resta il fatto che don Bosco per il bene delle anime era sempre “connesso” con i pastori della Chiesa con i mezzi “tecnologici” del tempo: la corrispondenza e i viaggi.

Francesco Motto dal Bollettino Salesiano

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