Calli nelle ginocchia, nella mente, nelle mani. Così non sarete rapiti dai fantasmi della mente

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Caro padre Aldo, tutto il malessere, il disagio, la non libertà che sto vivendo, sono la conseguenza del mio rapporto sbagliato con la realtà e del mio intervento su di essa. Più di quattro anni fa mi sono innamorata di un ragazzo, ci siamo messi insieme, ma ora ci siamo lasciati. Ho cercato di rimediare come potevo a questa situazione: invece di obbedire a Cristo che tramite la realtà mi diceva di fidarmi di Lui, di offrirgli questo dolore, ho agito seguendo i miei progetti. Ascoltando don Carrón ho capito che per quattro anni avevo poggiato la mia vita su certezze che io stessa mi ero costruita. Ora che sono venute a mancare mi sento persa. Mi sono sbattuta per cercare il modo di non perdere il bene di quel ragazzo, ma senza mai affidarmi a Cristo. Solo ora mi rendo conto che questo rapporto che ho sempre voluto tenere stretto mi sta strozzando. Sono schiava di questa persona, il suo pensiero non mi rende libera e condiziona tutta la mia vita. Ho parlato di questo problema con un mio amico prete, e lui mi ha detto che il punto da cui ripartire è il mio rapporto con la realtà: mi ha fatto accorgere di come guardo il reale con angoscia. Mi sono resa conto di come sono bloccata dall’ansia, dalla paura per il futuro, e tutto questo non mi fa vivere il presente. Le mie paure e i miei pensieri si sono sostituiti alla vera realtà, sono diventati più concreti della vita stessa; mi ritrovo a vivere dentro di loro piuttosto che dentro la realtà. Sono schizofrenica: prima piango e mi dispero, poi cerco di rincuorarmi con frasi del tipo «dai, sta tranquilla che tutto si sistema», ma sono stanca di essere dipendente dagli sbalzi d’umore. Ho bisogno di essere certa. Questo stato d’animo si riflette sul fisico e su quello che faccio: non riesco a studiare, non provo gusto quando mangio, dormo male e a volte mi prendono degli scatti di nervi, sono sempre agitata. L’amico prete mi ha detto che è tempo di agire, dandomi tre possibilità: provare a studiare tenendo fuori dalla mente tutti i pensieri che mi assillano; prendere dei farmaci; andare a lavorare per tenere le mani e la mente occupate da altro. Ho tanta paura al pensiero di dover prendere dei farmaci, ma la cosa che mi spaventa di più è dover lasciare l’università per andare a lavorare. Ho così paura di questa possibilità perché è una delle poche cose certe della mia vita. In università ho incontrato i ragazzi di Cl; non voglio lasciare ciò che di vero ho incontrato, ma ora è giunto il momento di seguire qualcuno. Non voglio più essere schiava dei miei pensieri e delle mie ansie. Se per imparare a fidarmi della realtà devo lasciare gli amici e gli studi, lo farò. Per anni ho detto no al Signore, ora sono arrivata a un punto in cui ho talmente bisogno di aiuto che chiedo ogni volta «sia fatta la Tua volontà». Prima non riuscivo e non volevo dirlo. Adesso non ho più scelta, posso solo aggrapparmi a Lui. Solo due cose vorrei domandarti: come faccio a essere libera di vivere il presente senza lasciarmi condizionare dai pensieri e senza avere sempre paura? È necessario che lasci la mia Facoltà?
Lettera firmata

La seconda parte della tua lettera mi riporta agli anni in cui, a causa di una forte nevrosi, ho sperimentato il dramma e il dolore per la mia incapacità nel superare le ossessioni che mi perseguitavano. Sono stati anni difficili. Non riuscivo nemmeno a dormire a causa di questo tormento. Ciò che mi ha salvato dalla depressione è stata la certezza della fede sperimentata attraverso la compagnia di don Giussani e di padre Alberto. Obbedendo a questa amicizia ho imparato pazientemente a vivere intensamente il reale, anche quando si presenta difficile. In questo lavoro personale mi hanno accompagnato tre regole:
1) Calli nelle ginocchia (pregare, mendicare, riconoscere che «Io sono Tu che mi fai»);
2) Calli nella mente (molta osservazione, molta attenzione alla realtà);
3) Calli nelle mani (lavoro fisico). Quest’ultimo è stato fondamentale perché mi ha “obbligato” a guardare la realtà come segno e a non lasciarmi trascinare dai fantasmi. In questo lavoro personale è importante una guida, un amico che ti indichi come guardare la realtà e che ti sappia scuotere quando i fantasmi ti portano sulle nuvole. Riguardo alla questione affettiva, a come hai vissuto il tuo innamoramento, trovo bellissima la lettera inviata da una ragazza che, con la sua testimonianza, ci provoca tutti, mostrando come una relazione vissuta intensamente ci apra al Mistero di cui il nostro cuore è fatto.

Carissimo, mi sono innamorata di un ragazzo che non è per me. E lui ricambia. Qualche giorno fa l’ho raggiunto in Università per studiare. Pensavo: «Chissà quanto riuscirò a concentrarmi?!». È stato sorprendente scorgermi addosso un desiderio di totalità che solo il Signore poteva soddisfare pienamente. Così mi sono ritrovata a studiare in un modo incredibilmente denso e proficuo, non malgrado la presenza attraente dell’amico, ma proprio perché lui c’era, e perché percepivo che quel desiderio infinito non poteva attuarsi se non dentro la circostanza oggettiva che ci veniva data. A un certo punto è dovuto andar via e il mio cuore ha fatto “trac”. Non sapevo quando l’avrei rivisto, ma che meraviglia poter vivere quello strappo senza la tentazione di farlo fuori, di archiviarlo come scomodo. Che cosa impressionante guardare quella ferita come segno del fatto che sono viva! Ho avvertito tutta la portata della mia libertà che si muove nell’impatto con le cose, senza la pretesa di afferrarle. Se stacco le cose più belle da Cristo tutto di me si ribella. Quando invece scorgo il segno dell’amore di Gesù per me, la mia libertà e la mia affettività esplodono. Cristo mi mostra quanto sia grande e bello arrestarmi davanti a ciò che vorrei afferrare per lasciarmi possedere e amare da Lui. Così, fare la Sua volontà non è un proposito, ma la strada attraverso cui la felicità m’invade. Quando mi osservo con sincerità, vedo che tutto quel che sono trae origine da Lui. Così: «Io sono Tu che mi fai» vuole dire anche «Io sono Tu come mi fai». Carrón ci ha detto: «Quando è reso grato e lieto, l’uomo acquisisce la statura della sua identità». È proprio così, il Signore continua a restituirmi a me stessa, in un abbraccio senza fine. 
Lettera firmata

Aldo Trento – Tempi

Articolo tratto da www.tempi.it per gentile concessione della redazione (7-7-2023).

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